Le notizie dalla Siria sono preoccupanti: decine, se non centinaia, di persone sono state uccise o ferite negli scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori dell’ex presidente Bashar al Assad.

È lo scontro più grave da quando un governo di transizione siriano di ex jihadisti è salito al potere l’8 dicembre 2024. Gli scontri sono scoppiati nelle regioni di Latakia e Tartous, sulla costa mediterranea, aree a maggioranza alauita, l’etnia degli Assad. Negli ultimi mesi si erano avuti sequestri e arresti, qualche uccisione, ma mai scontri così estesi.

Cosa sta succedendo

In queste ore proseguono rastrellamenti nei villaggi vicino alle due grandi città ma anche nella zona di Hama e nelle aree rurali, alla ricerca dei miliziani filo Assad o di gruppi armati alauiti. Com’è noto, la famiglia Assad è alauita e ha governato la Siria per oltre mezzo secolo in maniera brutale. La possibilità di un nuovo ciclo di vendette è quindi molto alta, fomentata dalla maggioranza sunnita, mentre gli alauiti non rappresentano più del 10 per cento della popolazione.

Video mostrano siriani alauiti accalcarsi davanti ai cancelli delle basi russe, come quella aerea di Hmeimim, per chiedere rifugio e protezione. In alcuni casi ci sono accuse alle truppe lealiste di aver fucilato civili alauiti in maniera indiscriminata, compresi donne e bambini. Attualmente le città di Latakia e in particolare Tartous, sede della base navale russa, sono state poste sotto coprifuoco.

La violenza ha scatenato manifestazioni pro e anti governative in diverse altre città siriane. Non si tratta di attentati, ma di vere e proprie battaglie, condotte da milizie alauite riorganizzatesi dopo la debacle del dicembre scorso. È evidente, com’era apparso subito, che Hayat Tahrir al Sham (Hts) non è ancora in controllo di tutto il paese. In molte regioni, soprattutto a sud attorno alla città di Deraa, sono altre milizie a comandare, non tutte obbedienti a Damasco.

Dall’UcrainaalMedioOriente

Israele

La Siria è in una situazione a pelle di leopardo, considerando anche i curdi a nord-est e i drusi. Su questi ultimi si è addirittura levato l’ombrello (interessato) di Israele: lo stesso premier Netanyahu ha minacciato un intervento per difendere «i nostri fratelli drusi» nel paese limitrofo.

Ma è noto che ogni pretesto è buono per l’Israele sovranista per allargarsi e annettere de facto altri pezzi di Siria, come sta già facendo con l’eterna scusa della sua sicurezza. Sembra che nessuno voglia che la Siria si ricomponga come stato unitario. È un segno dei tempi: i paesi si frantumano, e non è interesse delle altre potenze (grandi e medie) ricostruirli: si preferisce vivere nel caos per approfittarne.

Il disordine sembra vantaggioso per chi ha deciso di operare fuori dalle regole, quelle stabilite sia dopo il 1945 che post Guerra fredda.

L’Europa

Solo l’Europa rimane – per ora – legata all’antica impostazione multilaterale e difende il diritto interazionale. In Medio Oriente chi conta cerca di avvalersi della situazione attuale: Israele ma anche la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran. Ankara non ha ancora deciso se annettere (sempre de facto, per prudenza) l’area siriana che le interessa, spingendo i curdi più lontano. Ora che sta negoziando un accordo con il Partito dei lavoratori di Oçalan (PKK) dopo anni di guerriglia, non vuole grane da parte dei curdi siriani del Rojava. A questi ultimi rimane la blanda solidarietà dei confratelli iracheni, i quali peraltro hanno già un solido accordo con i turchi.

Unirsidavantialcaosglobale

Gli Usa

Solo gli americani ancora proteggono il Rojava con meno di mille militari, ma Erdogan attende di capire cosa ne pensa Trump: il tycoon potrebbe abbandonarli in mani turche in cambio di qualcosa.

D’altronde ora parla direttamente con Hamas e l’Iran: tutto è possibile. Riad ha interesse a sciogliere il nodo palestinese e la questione della ricostruzione di Gaza: se per ottenere ciò che desidera deve abbandonare Damasco al suo destino, non sarebbe un problema per il principe ereditario bin Salman (MbS), che certo non ha simpatia per degli ex jihadisti.

Infine l’Iran non ha alcun interesse che Hts si consolidi o che la Siria riprenda a essere uno stato unitario: Teheran vuole soltanto che si riapra uno spazio di manovra e di comunicazione verso Beirut, dove gli Hezbollah, pur indeboliti, esistono ancora.

Il 2011

In sintesi al Julani (ora al Sharaa) non ha amici e rischia ciò che già accadde negli anni della rivoluzione iniziata nel 2011: essere abbandonato da una comunità internazionale che non può occuparsi di Siria o, peggio ancora, che vuole mangiarsela a pezzi.

D’altronde la Siria non è una creazione europea le cui frontiere furono disegnate alla fine della Prima guerra mondiale? Ankara aspira ancora al controllo di Aleppo (e Mosul) che erano Impero ottomano. Drusi e curdi si sentono allo stretto in costruzioni nazionali che non li favorirono. Rileggere la storia di questi 100 anni serve a comprendere cosa potrebbe accadere: come altrove nel mondo, in Medio Oriente la fine dell’egemonia occidentale si evince anche da questo.

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