C’è una teoria che circola sui social tra i sostenitori di Donald Trump. L’ex presidente, noto per essere rancoroso nei confronti di chi non è stato “fedele”, sarebbe stato troppo morbido nel suo primo mandato con l’establishment repubblicano. Nel secondo, invece, dovrebbe sin da subito vendicarsi con tutti e sostituire l’intera leadership repubblicana con suoi lealisti.

Il metodo da utilizzare non è noto, ma si immagina come extralegale. Un nuovo Trump che si trasformi in quel vecchio meme lanciato dall’altright nel 2016, una sorta di Dio imperatore. Rispetto ad allora però, la retorica è più cupa.

Non ci sono più i colori dorati e brillanti nei meme e nelle vignette che vengono condivise. Il tono è un rossastro cupo che ricorda vagamente il sangue, insieme a un nero plumbeo e agli occhi laser, simbolo di una vendetta dai toni che ricordano gli anime giapponesi. A parlare per la prima volta di questa tendenza è stato un articolo su Newsweek dello scorso 22 aprile, che ha individuato la prima apparizione dell’hashtag #DarkMaga su Twitter: il 21 gennaio 2022.

Un trumpismo rafforzato

Cosa unisce questa galassia indefinibile? Partiamo dall’estetica di riferimento di questo mondo che prospera online: secondo il think tank britannico Institute for Strategic Dialogue, ci sono alcune caratteristiche fisse per identificare i sostenitori di questa svolta autoritaria.

Si parte da una base grafica Vaporwave, ispirata ai sistemi operativi dei computer degli anni Ottanta e Novanta, con una nostalgia rafforzata per l’epoca, con contenuti che sono sia trumpiani sia esplicitamente fascisti o neonazisti, con l’integrazione di simboli esoterici come le rune o il sole nero, tratto dalla simbologia delle Ss di Heinrich Himmler. C’è anche la “Skull Mask” utilizzata dal gruppo terrorista neonazista omonimo e che si trova spesso nei messaggi dei sostenitori di questo trumpismo “rafforzato”.

L’esempio dell’altright

Qual è lo scopo di questo movimento? Di sicuro c’è il rendere più “cool” un presidente come Trump, che presso una certa fascia di età, quella 18-24, è decisamente impopolare e ha numerose debolezze anche nei confronti delle altre. Non c’è solo quello però.

I cosiddetti Dark Maga vogliono ripetere l’operazione perpetrata dall’altright a partire dal 2015. L’invasione dei social con meme ironici ma dal contenuto estremista (oltre al culto di Trump si riscontra anche quello per una mascolinità “sacra” e messa “in pericolo”) ha aiutato quello che allora era un movimento radicale e poco conosciuto a ottenere udienza con lo stesso Trump e diventare parte della sua coalizione.

Uno dei loro fondatori, Richard Spencer, il 21 novembre 2016 ha fatto una conferenza stampa faraonica a Washington e ha chiuso il suo discorso con un tonante “Heil Trump”. Il movimento, dopo una meteorica ascesa nel discorso pubblico, era franato quando aveva tentato di farsi mainstream in occasione della famigerata marcia “Unite the Right” dell’11 agosto 2017 che si è tenuta a Charlottesville, in Virginia. In occasione della rimozione di una statua del generale Robert Lee si è provato a radunare in un unico corteo estremisti di ogni genere: neonazisti, neoconfederati, membri dell’attuale Ku Klux Klan e milizie varie di destra.

La manifestazione si era chiusa con la morte di uno dei contromanifestanti di sinistra investito da un’auto guidata da un estremista di destra. Insieme a una serie di azioni prese dalle varie piattaforme social, ha portato al declino di quel movimento che aveva legami con diverse figure della prima amministrazione Trump quale il consigliere per l’immigrazione Stephen Miller, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e la personalità radiofonica di origini ungheresi Sebastian Gorka, quest’ultimo alla Casa Bianca come viceconsulente. Da allora quell’area politica si è fratturata e a gennaio 2018 un articolo su Newsweek correttamente aveva predetto che questo fattp avrebbe potuto portare ad attacchi da parte di “lupi solitari” estremisti.

Un filo che porta a Trump

Su una cosa però l’altright è diversa dai Dark Maga: il tono dei primi era autenticamente ironico-sarcastico nel loro prendere in giro la sinistra radicale anche con toni volgari e razzisti. I Dark Maga, invece, sembrano essere i componenti di una sorta di “Repubblica di Salò” trumpiana: come le brigate nere di Pavolini il loro obiettivo è la vendetta feroce contro chi “ha tradito”. Non c’è ottimismo, solo sete di sangue. I toni estremi però non devono sviare: se tracciamo un filo è possibile arrivare fino al leader. E si scopre come in realtà ci sia ben poco che li separi ideologicamente dal Trump attuale, sempre più radicalizzato.

Ad averli fatti conoscere al mondo è stato il deputato del North Carolina Madison Cawthorn: dopo aver perso le primarie per un secondo mandato lo scorso 17 maggio ha dichiarato «è tempo che i Dark Maga prendano il controllo del partito repubblicano».

Farsi sdoganare

Cawthorn non è noto per la sua moderazione. Anche se si autodefinisce “conservatore costituzionale”, il suo mandato biennale è stato funestato da dichiarazioni improvvide e da comportamenti sconsiderati, tra cui quello di aver guidato varie volte in stato di ebbrezza, di aver cercato di imbarcare una pistola carica su un volo di linea nel bagaglio a mano e per aver comprato delle criptovalute senza averlo rivelato al Congresso, facendo quindi insider trading.

Non stupisce quindi che un politico disperato sostenitore strenuo di Trump che ha definito «il più grande presidente che questa nazione abbia mai avuto», si voti all’estremismo e attacchi chi, come il leader repubblicano alla Camera Kevin McCarthy, alla fine si era stufato di lui e delle sue continue uscite inappropriate.

Prima ancora però c’è stata la controversa deputata della Georgia, Marjorie Taylor Greene, che ha postato un’immagine di sé il 7 maggio scorso con gli occhi laser e su sfondo rosso, con il tag #UltraMaga. Nello stesso periodo altri influencer di estrema destra come il giornalista Jack Posobiec e la filmmaker Amanda Milius avevano postato immagini simili. Il termine usato però è leggermente difforme. Ultra anziché “dark”. In realtà cambia poco. Come si è capito, l’obiettivo era farsi sdoganare.

Ci pensa Biden

E chi meglio del capo degli avversari per ottenere il risultato sperato? Lo scorso 11 maggio il presidente Joe Biden aveva lanciato un attacco all’estremismo del partito repubblicano dicendo «questa agenda UltraMaga è estrema», ripetendo l’attacco nei giorni successivi, aggiungendo il riferimento a Trump come «Grande re dei Maga».

Il guaio è stato fatto: subito dopo la numero tre dei repubblicani alla Camera ha affermato che di essere «orgogliosa di essere una degli UltraMaga» e in una mail di fundraising inviata da Save America, il principale comitato d’azione politica a sostegno di Trump, si è fatto riferimento alla citazione di Biden, rincarando la dose: «Se amare il proprio paese e voler mettere l’America al primo posto ci rende “UltraMaga”, sì, lo siamo!». Trump in privato, secondo il magazine Politico, avrebbe deriso i democratici per questo, definendoli pessimi nel marketing, tant’è vero che ha subito brandizzato la definizione con una t-shirt che lo raffigura come un supereroe e la scritta SuperMaga.

Fuori dalle regole

Lo scopo di Biden, ovviamente, era quello di trovare una definizione facile per colpire il nemico in campagna elettorale e aiutare un partito in difficoltà. Un’analisi di Politico però ha passato in rassegna le frasi usate dai politici dem in campagna elettorale, individuando i 37 seggi più a rischio. Nella loro retorica al massimo ci sono gli “ultra-ricchi” difesi dai repubblicani, ma secondo uno di questi esponenti dem che lottano per la rielezione, il deputato dell’Arizona Ruben Gallego «accusare gli Ultramaga non è un buon argomento».

Infatti la definizione non solo non aiuta i democratici, ma ha anche spinto i Dark Maga a trovare il loro punto di congiunzione con il mainstream repubblicano: Taylor Green ha vinto le primarie e Cawthorn è stato definito da Donald Trump come «un bravo ragazzo che merita una seconda chance».

Al momento è difficile dire chi altri abbraccerà questo termine, ma basterà soltanto che Trump non lo rifiuti per ottenere gli stessi risultati dell’altright, ottenendo influenza e potere all’interno di un partito che già ha intrapreso da tempo un lungo percorso verso l’estremismo politico e il graduale rifiuto del processo democratico. Perché è proprio questo, il filo che unisce questo mondo a Trump: se il voto del 2020 è stato rubato, davvero vale ancora la pena di giocare secondo le regole?

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