Nel caos di Gaza, con oltre 11mila vittime palestinesi e gli ospedali allo stremo perché sono senza energia e circondati da combattimenti, ci sono due inadeguatezze politiche all’orizzonte per il dopo Hamas e in vista di una exit strategy stabile e duratura: quelle del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, e quella del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, tra i più criticati primi ministri dagli stessi israeliani con proteste di massa durate per mesi contro una riforma della giustizia giudicata autoritaria secondo i principi liberali della ripartizione dei poteri.

Abu Mazen e Netanyahu sono entrambi politici di lungo corso, abili manovratori, esperti delle logiche mediorientali, ma entrambi sono logorati e screditati in larga parte delle rispettive società. Eppure il futuro del dopo Hamas a Gaza si gioca ancora tra questi due protagonisti della scena mediorientale (sebbene gli Usa non facciano ormai mistero di preferire un possibile cambio al vertice del governo israeliano).

Gli Stati Uniti e il segretario di Stato, Antony Blinken, puntano su Abu Mazen perché prenda in mano la gestione della Striscia cercando di riportare l’orologio della storia a prima della presa di potere di Hamas.

Ipotesi osteggiata dall’intransigenza di Netanyahu che sta provocando più di qualche mal di pancia al suo maggiore alleato, gli Stati Uniti. Il premier Netanyanu sta insistendo sulla sua agenda: nessun cessate il fuoco senza il rilascio degli ostaggi, la sconfitta militare del movimento fondamentalista e la rioccupazione della Striscia a tempo indeterminato, con l'Anp di Abu Mazen fuori dai giochi.

Una linea radicale, forse sostenuta per cercare di offuscare le colpe del disastro del 7 ottobre, di cui molti israeliani lo ritengono responsabile, mentre cresce la pressione dell'ultradestra che evoca persino il ritorno dei coloni a Gaza dopo che nel 2005 lo stesso il governo di Ariel Sharon, tra i più duri e bellicosi premier della destra israeliana, la restituì ai palestinesi sgomberando i coloni.

La cautela di Abu Mazen

Abu Mazen, 88 anni, nel 1980 era responsabile degli Affari esteri dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat. Oggi è un anziano leader screditato e con una popolarità ai minimi, ma nel corso dei colloqui avuti con il segretario di Stato Blinken a Ramallah si è detto interessato a prendere in mano la situazione ma ad una condizione: «Ci assumeremo pienamente le nostre responsabilità nel quadro di una soluzione politica globale che includa tutta la Cisgiordania, comprese Gerusalemme est e la Striscia di Gaza», ha riportato l'agenzia di stampa palestinese Wafa.

Distinguo importante di Abbas che vuole in mano un quadro di riferimento che conduca ai due stati. Il presidente palestinese ha dichiarato al recente vertice di Riad dei paesi arabi e islamici che «non sono accettabili soluzioni militari, perché sono tutte fallite. Rifiutiamo categoricamente qualsiasi tentativo di sfollare il nostro popolo da Gaza o dalla Cisgiordania».

L’intransigenza di Bibi

Netanyahu non pare disposto ad alcuna concessione, né alla comunità internazionale, né al mondo arabo né all’alleato americano (l’Europa non è pervenuta). «Nessuna pressione internazionale ci fermerà», ha chiarito il leader israeliano, ribadendo che le operazioni militari nella Striscia andranno avanti fin quando Hamas non verrà «sradicata».

Poi ha respinto il piano condiviso da americani e europei per un ritorno dell'Autorità nazionale palestinese alla guida della Striscia. «Educa al terrorismo e paga stipendi ai terroristi», è l'accusa di Netanyahu all'organismo di Abu Mazen che amministra la Cisgiordania.

Cisgiordania

Mentre da Stati Uniti e Ue giungono ad Israele avvertimenti sempre più espliciti affinché contenga i coloni in Cisgiordania, un sondaggio condotto all'inizio di ottobre dal centro studi palestinese Policy and Research Survey lancia un altro segnale di allarme. L'esasperazione accumulata dalla popolazione palestinese è in ascesa.

«Alla luce delle collusioni fra esercito e coloni e nell'assenza di fiducia verso gli apparati di sicurezza di Abu Mazen, i palestinesi vedono nella formazione di milizie armate locali una risposta agli attacchi dei coloni». È il detonatore che potrebbe provocare una nuova intifada. Netanyahu e Abu Mazen non sembrano in grado di fronteggiare la situazione e in qualche modo si sostengono a vicenda da anni, ma la loro sopravvivenza sta costando troppo ai rispettivi popoli.
 

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