Ci sono due passi che la Casa Bianca può fare (come avvenuto in passato con Ronald Reagan nel 1982 in Libano e con George Bush senior nel 1992 in Cisgiordania) per costringere il governo israeliano a non attaccare con i carri armati e i bombardamenti aerei la cittadina di Rafah nel sud della Striscia con 1,5 milioni (su un totale di 2,2, milioni) di profughi ammassati lì, su ordine perentorio dello stesso esercito israeliano: 1) non mettere più il veto alle risoluzioni Onu sul cessate il fuoco a Gaza e 2) cessare di rifornire di armi e tecnologia e dati dell’intelligence l’esercito di Israele.

E ieri per la prima volta una delle due ipotesi si è realizzata mentre la seconda è stata minacciata indirettamente di realizzarsi al ministro della Difesa israeliano Gallant, chiamato a rapporto in tutta fretta a Washington. 

È stata infatti la prima volta dal 7 ottobre scorso che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite a New York ha approvato una risoluzione che chiede un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Il testo, presentato da 10 membri del Consiglio di sicurezza tra cui Algeria, Guyana, Ecuador, Giappone, Malta, Mozambico, Sierra Leone, Slovenia, Corea del Sud e Svizzera, prevede una pausa dai combattimenti fino al 9 aprile.

Chiede anche il rilascio di tutti gli ostaggi fatti prigionieri dai miliziani di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, ma non pone questa come condizione per la tregua, nesso su cui invece Israele ha sempre insistito.

Il testo, quindi, chiede «un cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan rispettato da tutte le parti, che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile, oltre al rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi». Ma come è potuto accadere?

La risoluzione è stata approvata grazie al voto di 14 stati membri e all’astensione degli Stati Uniti che in questo modo hanno tolto “l’ombrello protettivo” del veto finora usato a sostegno di Israele.

La stessa Casa Bianca aveva dovuto subire lo scorso venerdì il veto di ritorsione di Russia e Cina a una risoluzione da loro sponsorizzata che chiedeva «un cessate il fuoco immediato e duraturo» a Gaza.

Le reazioni alla risoluzione

«L'astensione degli Stati Uniti» al voto della risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza «non cambia la nostra politica», ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby, in un briefing sottolineando che Washington «ha sempre chiesto che il cessate il fuoco fosse legato alla liberazione» degli ostaggi da parte di Hamas, tralasciando il fatto che fino a ieri gli Usa avevano sempre messo o minacciato il veto.

«Siamo molto delusi»: così Kirby ha commentato a caldo la decisione del premier israeliano Benjamin Netanyahu di non inviare la delegazione israeliana a Washington dopo l'astensione degli Usa all'Onu come segnale di ritorsione.

Netanyahu ha annullato la partenza per Washington di una delegazione di alto livello israeliana. Lo ha fatto sapere l'ufficio del premier indicando come motivo l'astensione degli Usa all'Onu alla risoluzione su Gaza.

Il voto degli Usa «è un passo indietro chiaro rispetto alle posizioni degli Usa dall'inizio della guerra». «Questo ritiro - ha aggiunto - colpisce lo sforzo bellico per liberare i nostri ostaggi perché offre a Hamas la speranza che pressioni internazionali gli consentiranno di ottenere un cessate il fuoco senza liberare i nostri ostaggi», ha ribadito il premier.

La Francia ha chiesto un «cessate il fuoco permanente» a Gaza dopo il Ramadan, ha detto l'ambasciatore di Parigi all'Onu Nicolas de Riviere. A Gaza «ci auguriamo che ci sia un cessate il fuoco che permetta la liberazione degli ostaggi israeliani e di portare aiuti umanitari alla popolazione civile palestinese. All'Onu si è votata questa risoluzione per il cessate il fuoco, è la prima e questo ci fa ben sperare e certamente rappresenta un primo positivo passo in avanti», ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani nel corso di un intervento a Radio1.

Hamas "saluta" la decisione del Consiglio di sicurezza e sottolinea la sua «disponibilità ad impegnarci in un immediato processo di scambio di prigionieri che porti al rilascio dei prigionieri di entrambe le parti».

L’unica nota stonata è arrivata dal candidato alla Casa Bianca repubblicano: «Solamente un pazzo o un idiota non avrebbe risposto come ha fatto Israele al 7/10», ha detto l'ex presidente Usa Donald Trump in un'intervista a Israel ha-Yom.

Gallant a Washington

Il secondo aspetto di questa giornata di svolta nella crisi è stata la visita del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant che è arrivato a Washington per colloqui con l'amministrazione sulla fornitura di armi e sul sostegno degli Stati Uniti, mentre le relazioni tra i due storici alleati diventano sempre più tese a causa della campagna di Israele a Gaza e dell’astensione Usa sulla mozione all’Onu.

Ma mentre la parte israeliana ha sottolineato gli obiettivi condivisi con Washington, i dirigenti Usa hanno affermato che la visita si concentrerà anche su una questione su cui la politica israeliana e quella statunitense divergono profondamente da mesi: lo status di Rafah, dove la leadership israeliana sta pianificando un'incursione militare che ritiene necessaria per sradicare Hamas ma che potrebbe causare migliaia di vittime tra i civili.

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