Nel centro del centro di Chicago le donne sono tornate a marciare. Incredule, terrorizzate, alle cinque del pomeriggio del 3 maggio, si sono presentate con i megafoni e le spille arcobaleno appuntate al petto.

Chiamate a raccolta qui, e in decine di altre città, contro la possibile cancellazione del diritto all’aborto da parte della Corte suprema, come cinque anni fa dopo l’inaugurazione della presidenza di Donald Trump. 

La sindaca Lori Lightfoot – la prima afroamericana dichiaratamente lesbica alla guida di una metropoli – ha iniziato la giornata allestendo una conferenza stampa nella sede di Planned Parenthood, la più antica e diffusa organizzazione per il diritto all’aborto della nazione.

Il governatore J.B. Pritzker ha assicurato che il diritto all’aborto resterà sempre garantito, ma se la bozza della Corte suprema trapelata in questi giorni sarà confermata e votata dalla maggioranza dei giudici, l’Illinois si troverebbe circondato per lo più da stati che negato o limitano il diritto all’interruzione della gravidanza.

La presidente di Planned Parenthood Illinois, Jennifer Welch, prevede di accogliere dalle 20mila alle 30mila pazienti in più in arrivo dagli altri stati. L’organizzazione sta pensando di creare nuove cliniche per rispondere alla possibile impennata di viaggi dell’aborto, già in crescita costante dal 2014, balzati del 29 per cento nel solo 2020. 

In caso di conferma dell’orientamento dei giudici, 23 stati sarebbero pronti a vietare le interruzioni di gravidanza. Tredici hanno già approvato leggi che tutelano il diritto sancito nel 1973 dalla Corte suprema. 

Divieti e restrizioni 

La legge del Mississippi, destinata a essere applicata dieci giorni dopo il riconoscimento della decisione dei giudici, recita: «Nessun aborto può essere praticato o indotto nello stato del Mississippi, tranne nel caso in cui sia necessario per la conservazione della vita della madre o dove la gravidanza sia stata causata da uno stupro».

In South Dakota non servirà nemmeno aspettare dieci giorni, la legge è pronta dal 2005 e la governatrice repubblicana Kristi Noem ha convocato subito una sessione speciale per accelerare i tempi.

In Arkansas i medici che praticano un aborto potrebbero essere condannati a dieci anni di carcere. In Idaho l’interruzione di gravidanza sarebbe automaticamente vietata a partire dal primo rilevamento del battito del cuore del feto, circa a un mese e mezzo dal concepimento.

Crudele corollario: la legge prevede che i familiari del feto possano citare in giudizio il medico che permette alla madre di abortire.

Quasi la metà dei cinquanta stati di America seguirebbero la via del Texas, dove le donne che non possono permettersi un biglietto aereo già macinano migliaia di chilometri per arrivare alle cliniche del Minnesota o del New England, spesso di notte per tornare regolarmente al posto di lavoro il giorno successivo.

I viaggi dell’aborto, però, diventerebbero ancora più lunghi, le notti più buie. Secondo le previsioni del Guttmacher Institute, istituto di ricerca che difende il diritto alla salute riproduttiva, per il Texas la distanza per raggiungere la prima clinica aumenterà di ottocento chilometri, per una donna della Florida di oltre novecento, per chi proviene dalla Louisiana di oltre mille chilometri.

A essere colpite «in modo sproporzionato», dice l’istituto, sarebbero le persone a basso reddito e di colore, i giovani, le persone Lgbt e chi vive in comunità rurali. I due terzi degli aborti legali per cui sono disponibili dati a livello federale riguardano oggi donne di colore.

Terremoto a Washington

La fuga di notizie sull’orientamento, ancora non definitivo, della Corte suprema rende molto più complicato lo slittamento verso posizioni più moderate, in una battaglia che calpestando il corpo delle donne rischia di affossare molto altro e che ha già terremotato tutto il sistema politico. 

L’opinione redatta dal giudice Samuel Alito, infarcita di riferimenti a un giurista britannico del Settecento che giustificava lo stupro nel letto coniugale, esclude il riconoscimento dell’aborto in quanto «non profondamente radicato nella storia degli Stati Uniti», interpretando in maniera restrittiva il Quattordicesimo emendamento.

Lo stesso presidente Joe Biden ha avvertito che l’opinione potrebbe intaccare una ampia gamma di diritti relativi alla privacy come il matrimonio, in particolare per le persone omosessuali.

I democratici però si sono fatti trovare impreparati. La Casa Bianca ha programmato tavoli di coordinamento con i legislatori locali e ha affermato che «sarà pronta quando sarà emessa la sentenza». Il partito di Biden però è fragile quanto le istituzioni americane, è diviso e non ha una vera strategia. 

Al Senato, dove la maggioranza progressista è appesa al voto della vicepresidente Kamala Harris, i due senatori democratici di fede centrista Joe Manchin e Kyrsten Sinema si sono opposti ieri, e per l’ennesima volta, alla modifica delle regole sull’ostruzionismo legislativo che impediscono l’approvazione di leggi con una maggioranza semplice. 

Alla ricerca di una via percorribile per uscire dall’impasse, il senatore del Massachusetts Ed Markey si è presentato di fronte al nugolo di dimostranti di fronte alla Corte suprema proponendo di aumentare il numero di giudici per ribaltare la maggioranza conservatrice.

Di fronte ai frutti avvelenati dell’ex presidente, con la Corte suprema in crisi profonda, e il Congresso in panne, le alternative sono poche. C’è la scorciatoia di modificare le regole istituzionali, contribuendo ad indebolire il sistema.

Arrendersi al fatto che la politica vera si giocherà a livello degli stati, arrendersi al paese in pezzi. Oppure scommettere su elezioni che fino a pochi giorni fa per i democratici si annunciavano come una débacle.  

Una lunga marcia

Da qui a novembre si giocano i seggi della Camera, 35 del Senato, 36 stati e il mantra ripetuto negli ambienti democratici è: «Limitare le perdite». I sondaggi del presidente sono deludenti, le promesse iniziali si sono impantanate per i voti mancanti al Congresso, e alcuni candidati hanno iniziato a prendere le distanze da Washington.

Proprio ieri le prime primarie della lunga maratona politica americana, quelle dell’Ohio, hanno dato un ulteriore segnale, incoronando sul fronte repubblicano il candidato di Donald Trump e su quello democratico il candidato più moderato che sfida i repubblicani sullo stesso terreno del protezionismo.

Non a caso Biden e Harris hanno cercato di incanalare la battaglia sul diritto all’aborto sulla campagna elettorale. Dobbiamo portare il maggiore numero di candidati pro aborto al Congresso, è stato il messaggio recapitato dal vertice dei democratici.

La storica Ruth Ben Ghiat sostiene che la marcia delle donne del 2017 ha avuto un impatto alle urne nelle elezioni di midterm del 2018 e che una mobilitazione delle donne dal basso potrebbe avere un impatto anche questa volta.

I ricercatori dei circoli dei think tank progressisti ammettono a mezza bocca e con una buona dose di cinismo che a fronte delle difficoltà dei democratici questa potrebbe essere un’opportunità. Per le donne statunitensi però è un viaggio lungo, una notte buia e limitare le perdite non è abbastanza.

© Riproduzione riservata