La polizia birmana ha messo sotto indagine Aung San Suu Kyi, la leader del paese incarcerata il 1° febbraio dai militari golpisti. Le accuse contro la politica sono di avere importato illegalmente dei walkie talkie nel paese. Suu Kyi sarà detenuta fino al 15 febbraio e rischia ora una pena fino a tre anni di carcere.

Nel frattempo, le Nazioni unite non sono riuscite a trovare l’accordo sul testo di condanna del colpo di stato militare in Myanmar. A far saltare il tavolo è stata la Cina che grazie al suo diritto di veto ha bloccato l’approvazione del documento con l’intento di non volere accettare intromissioni internazionali nel paese. Pechino è uno dei principali alleati del Myanmar e ha finora difeso tutte le azioni dei governi precedenti anche dalle accuse di genocidio commesso nei confronti della minoranza etnica dei Rohingya.

Il blocco cinese appare dunque come un tacito via libera ai militari, nonostante la Cina abbia finora stretto importanti accordi commerciali con il governo colpito dal golpe e guidato da Aung San Suu Kyi. Una posizione molto diversa da quella espressa dal governo americano guidato dal presidente, Joe Biden, che ha già detto di avere intenzione di fermare gli aiuti al paese e imporre sanzioni se la situazione democratica non verrà ripristinata in tempi rapidi.

Cosa sta succedendo in Myanmar?

La situazione in Myanmar è precipitata il 1° febbraio quando i militari hanno preso il controllo del paese bloccando tutte le comunicazioni e incarcerando i membri del partito governativo, Lega nazionale per la democrazia (Nld). Il colpo di stato non è stato un fulmine a ciel sereno: da giorni i membri dell’esercito accusavano la Nld e la sua leader Aung San Suu Kyi di avere commesso frodi elettorali nel corso delle elezioni di inizio novembre che avevano visto una loro schiacciante vittoria.

Con il golpe di questi giorni, i militari puntano a tornare al potere dopo avere concesso nel 2012 un ritorno alla democrazia. Aung San Suu Kyi era stata la protagonista di questo cambiamento democratico per cui aveva lottato per oltre vent’anni guadagnandosi nel 1991 il premio Nobel per la pace. Un impegno che aveva raccolto i suoi frutti alle elezioni generali del 2015 che avevano visto la sua prima affermazione elettorale, seguita poi da quella dello scorso novembre. Ora il golpe rischia però di fare tornare il Myanmar al passato. 

© Riproduzione riservata