C’è la prima vittima della repressione del regime golpista birmano contro gli attivisti che lottano per il ritorno della democrazia. La famiglia di Mya Thwet Thwet Win, la ventenne colpita da un proiettile il 9 febbraio durante una manifestazione, ha deciso di staccare la spina del ventilatore che la teneva vita. «Il suo cervello era già morto a causa del proiettili», ha spiegato la sorella.

La giunta militare ha fatto sapere di avere autorizzato le forze dell’ordine a usare solo proiettili di gomma e non armi da fuoco, ma nel frattempo, un medico dell’ospedale, che ha preferito rimanere anonimo, ha detto ai media locali che la ragazza sarebbe stata colpita da una pallottola. La sua dichiarazione conferma la versione di Amnesty International che aveva già accusato i golpisti di avere usato armi da fuoco per reprimere le proteste.

Cosa sta succedendo?

Il 1° febbraio i militari del Myanmar hanno rovesciato il governo democratico di Aung San Suu Kyi, confermata con l’83 per cento di voti a favore alle elezioni dello scorso novembre. Secondo l’esercito, che si era candidato con un suo partito poi risultato sconfitto, Suu Kyi avrebbe commesso dei brogli elettorali. L’obiettivo della giunta militare è quello di reinstaurare la dittatura che ha già governato il paese dal 1962 al 2015. Suu Kyi è considerata il simbolo della svolta democratica birmana.

Nel 1991 il suo impegno per il ritorno dei diritti civili e politici nel paese le era valso il Premio Nobel per la Pace. Per questo i militari l’hanno messa agli arresti e l’hanno accusata di importazione illegale walkie talkie e di violazione delle norme anti Covid. La reazione internazionale è stata di condanna pressoché unanime. Le Nazioni unite hanno più volte chiesto il rilascio di Suu Kyi e degli altri membri del suo partito arrestati mentre gli Stati Uniti hanno deciso di sanzionare il nuovo regime. 

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