Spari intimidatori contro le navi da pesca italiane. Secondo una prima ricostruzione le imbarcazioni si trovavano a circa 40 miglia a nord-est dalla costa di Tripoli, quando sono state raggiunte da alcuni colpi sparati da una motovedetta della Guardia costiera che hanno ferito al braccio Giuseppe Giacalone, il comandante della nave Aliseo.

Dopo gli spari le autorità libiche hanno autorizzato i soccorsi effettuati da parte della Libeccio, la nave della Marina militare italiana che si trovava a decine miglia dalla zona. Il comandante Giacalone è stato trasportato all’interno della nave militare, mentre il peschereccio è stato rilasciato e ha fatto ritorno verso le coste italiane insieme alle altre imbarcazioni che si trovavano nella Zona di protezione di pesca (Zpp) della Libia.

Masoud Ibrahim Abdelsamad della Marina libica ha confermato che sono stati esplosi «colpi di avvertimento in aria» per fermare le imbarcazioni da pesca. Già in un’inchiesta sui respingimenti della Guardia costiera libica Domani aveva sentito Masoud, il quale aveva ammesso l’utilizzo delle armi da parte delle autorità arabe durante le operazioni di respingimento. «Ci possono essere stati spari in aria perché le persone nelle barche a volte se si muovono possono cadere in acqua. Serve per farli tornare alla tranquillità» aveva raccontato.

Con una nota il ministero della Difesa ha provato a fare chiarezza sull’accaduto: «La fregata Libeccio della Marina militare italiana, impegnata nell’operazione Mare Sicuro, è intervenuta nelle prime ore di oggi pomeriggio in assistenza ad un gruppo di 3 pescherecci italiani (Artemide, Aliseo e Nuovo Cosimo) intenti in attività di pesca nelle acque della Tripolitania». La nota specifica che al momento degli spari la Libeccio si trovava a circa 60 miglia dall’area e in attesa di raggiungere le imbarcazioni «ha mandato in volo l’elicottero di bordo». Inoltre, dal ministero della Difesa fanno sapere che è stato dirottato verso la zona un velivolo di ricognizione «il quale riporta d’aver assistito ad alcuni colpi d’arma da fuoco di avvertimento da parte della motovedetta libica».

In serata si scopre che i pescherecci sono parte della capitaneria di Mazara del Vallo. Ed è proprio il sindaco della città, Salvatore Quinci, che all’Adnkronos ha detto: «Era tutto prevedibile, ne parliamo da giorni qui. Qua la questione è sempre la stessa. Adesso ci dicano se dobbiamo andarcene ma lo Stato Italiano deve proteggere gli italiani, l’Italia si faccia sentire. Subito».

Conferma che «hanno sparato ad altezza d’uomo» e aggiunge: «È una novità che episodi del genere accadano al largo di Misurata». Infatti, di solito le minacce provenivano dalle autorità di Bengasi.

Le reazioni

Sul caso si è espressa la politica italiana. «Il governo venga a riferire con urgenza in aula – scrive in una nota il deputato LeU Erasmo Palazzotto – ci spieghi se a sparare è stata la stessa guardia costiera libica che il Presidente del Consiglio ha ringraziato qualche giorno fa per le deportazioni quotidiane di migranti e se lo ha fatto utilizzando una delle motovedette che gli abbiamo regalato». Il segretario del Pd, Enrico Letta, affida il suo commento a Twitter: «Inconcepibile quel che è accaduto oggi. Solidarietà al comandante del peschereccio italiano e non ci si potrà accontentare di scuse o vaghe spiegazioni».

«Chiediamo che si faccia sentire forte e autorevole la voce del Governo Draghi e del Ministro degli Esteri. L’Italia non deve piegare la testa» dicono invece da Fratelli d’Italia.

Il precedente

Lo scorso dicembre dopo circa cento giorni di detenzione sono tornati in Italia i diciotto pescatori, sempre di Mazara del Vallo, tenuti in ostaggio a Bengasi, in Libia.

«Siamo stati trattati malissimo, ci facevano dormire a terra. Cibo scadente. È stato terribile» aveva raccontato Onofrio Giacalone, uno dei pescatori liberati, appena sceso dal peschereccio per andare a casa. «Non sapevamo nulla di ciò che accadeva in Italia- dice - ci tenevano all’oscuro di tutto».

Allora per liberare i pescatori è servito un viaggio in Libia dell’ex premier Conte accompagnato di Di Maio alla corte del generale libico Khalifa Haftar. Questa volta il pericolo è stato scongiurato.

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