Le istituzioni europee si sono indignate per la campagna di Donald Trump a sostegno della costruzione di un muro lungo il confine con il Messico per bloccare l’immigrazione. Eppure negli stessi anni quelle stesse istituzioni ne hanno eretto un altro, invisibile, nel Mediterraneo centrale: un sistema di sorveglianza marittima, che si nutre dei dati ricevuti dai droni, dalle perlustrazioni dei velivoli di Frontex (l’agenzia europea delle frontiere), dagli elicotteri delle forze di polizia. In questo senso l’accordo con la Libia per bloccare le partenze dei migranti ha funzionato.

Da quando il governo italiano guidato da Paolo Gentiloni, con ministro dell’Interno Marco Minniti, ha firmato nel febbraio 2017 il Memorandum con il governo di Tripoli, le industrie aerospaziali e di armamenti hanno fatto affari d’oro con i ministeri degli stati membri e con Frontex.

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Aziende come Airbus, le israeliane Iai e Ebit e l’italiana Leonardo Finmeccanica hanno ottenuto commesse per milioni di euro. Minniti ora è entrato in Leonardo, nominato poche settimane fa a capo della fondazione MedOr, nuovo soggetto creato dalla ex Finmeccanica che si occuperà anche di Libia. Dell’accordo ha beneficiato anche l’Agenzia Frontex, diventata uno degli organismi più finanziati dell’Unione, con un budget attuale di 500 milioni e di oltre un miliardo nei prossimi sei anni.

Con spese e appalti, alcuni abbastanza anomali da attirare l’attenzione dell’ufficio antifrode (Olaf) dell’Unione. Domani ha scoperto per esempio, che dopo aver ristrutturato la sede di Varsavia, non senza mettere in allerta la Corte dei conti, l’Agenzia ha pubblicato a metà febbraio un bando di gara da oltre 100 milioni per realizzare un nuovo quartier generale. Senza contare le spese per comunicazione, stampa e serate di gala.

Muro invisibile

Il memorandum Italia-Libia firmato dal governo Gentiloni a febbraio 2017 ha dato il via all’esternalizzazione del controllo delle frontiere nel Mediterraneo centrale. Ha previsto la formazione della Guardia costiera libica e ha gettato le basi per l’istituzione della zona di ricerca e soccorso davanti alle coste della Libia (Sar). Tanto è bastato per fornire al governo di Tripoli, senza mai esplicitarlo, la possibilità di intercettarne le imbarcazioni cariche di migranti che, una volta fermati, vengono riportati nei centri di detenzione, violando la prescrizione dell’Onu, che considera la Liba un paese non sicuro, e le convenzioni internazionali.

Per sostenere i libici l’Europa ha potenziato la sorveglianza: il business principale, in tempo di pace, per le industrie degli armamenti e dell’aerospazio come Airbus e Leonardo. La sorveglianza permette di raccogliere informazioni e trasmetterle alle centrali di ricerca e soccorso dei paesi che si trovano in quel tratto di mare: Italia, Malta e Libia. Questa triangolazione di comunicazioni protette e super veloci è il frutto di un progetto politico chiaro: trasformare la Guardia costiera libica nell’unica forza marittima in grado di intervenire per recuperare i migranti, non solo quelli in difficoltà partiti dalla costa compresa tra Tripoli e Zuara. L’obiettivo è non farli arrivare in Europa, riportarli indietro e ricacciarli nell’inferno dei centri di detenzione dove finiscono i clandestini.

2013 Getty Images

Numerosi articoli della stampa libica celebrano con entusiasmo le grandi operazioni della neonata Guardia costiera. In queste brevi news, consultabili per esempio su Libya Observer, compare spesso il luogo in cui vengono portati i migranti intercettati. Tra questi c’è la città di Zawiya dove si trova il centro di detenzione Al Nasser, controllato da bande di trafficanti colluse con i militati, alcuni in passato membri della Guardia costiera che, proprio da Zawiya, parte per recuperare i gommoni in viaggio verso le coste italiane.

Eppure i rapporti Onu hanno più volte ribadito che la Libia non è un porto sicuro dove far sbarcare donne, bambini e uomini in fuga da guerre e miseria. Il manifesto della teoria dei respingimenti, anche se questo termine non viene mai usato, è un documento del 2017 della Commissione europea intitolato La migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi e salvare vite umane. Nel report si sottolinea la necessità di «potenziare il sostegno alla Guardia costiera libica». Secondo la Commissione, inoltre, era urgente rendere operativa la rete Seahorse: un programma mirato a rafforzare le autorità di frontiera dei paesi nordafricani, attraverso la condivisione di risorse e tecnologie di intelligence e sorveglianza, di sistemi di segnalazioni e connessioni satellitari.

«L’obiettivo generale di Seahorse è aumentare la capacità dei paesi nordafricani di contrastare la migrazione irregolare e il traffico illecito rafforzando i loro sistemi di sorveglianza delle frontiere, sviluppando la loro capacità di condividere informazioni e coordinare le azioni con le loro controparti negli stati membri dell’Ue. Per il momento la Libia è l’unico paese partner a beneficiare di questa rete», questa la risposta di Federica Mogherini, all’epoca Alto rappresentante agli Affari esteri dell’Unione e vicepresidente della Commissione, data nel 2018 a un’interrogazione presentata da un europarlamentare.

Respingimenti che affare

Seahorse è solo l’ultima appendice di Eurosur. Sigle degne di un film sulla guerra fredda che indicano il meccanismo sul quale si fonda il «controllo delle frontiere esterne dell’Unione». Eurosur, costato finora oltre 103 milioni di euro, è stato istituito nel 2013. In pratica è la rete attraverso la quale vengono trasmesse le informazioni sensibili. Tramite Eurosur Frontex acquisisce potere attraendo risorse e finanziamenti.

L’ultima evoluzione di questo grande occhio sul Mediterraneo si chiama Mas, acronimo di “Multipurpose Aerial Surveillance”, ossia sorveglianza aerea polifunzionale. In un documento del 2018 di Frontex si legge che Mas «ha contribuito al successo» di molte operazioni di soccorso, salvando più di 1.900 persone. In quell’anno la Libia era già coinvolta nelle operazioni di ricerca e soccorso. E da Mas riceveva le informazioni per far partire le motovedette. «Le operazioni vengono eseguite ogni volta che Mas rileva la presenza di una barca e le autorità competenti vengono informate», è scritto. L’autorità competente per l’area libica Sar, creata dopo la firma del memorandum Italia-Libia, è proprio la Guardia costiera libica, che grazie a quelle informazioni intercetta e respinge i migranti.

Fabrice Leggeri, il direttore di Frontex, in una lettera inviata alla Commissione e pubblicata dal quotidiano britannico The Guardian, ha ammesso che l’Agenzia avverte tutti i centri di soccorso su entrambe le sponde del Mediterraneo. Dunque anche la Libia, che dopo il 2017 fa il lavoro sporco per l’Europa. Nel 2020 e nei primi mesi del 2021 sono state riportate in Libia più di 13mila persone, riferiscono le organizzazioni dell’Onu come l’Unhcr, l’Alto commissariato per i rifugiati. La maggior parte finisce nei centri di detenzione. Solo in pochi entrano in programmi di protezione dell’Unhcr, che solo nel 2019 ha portato fuori dalle prigioni quasi duemila persone.

L’accordo e i droni

Il sistema di sorveglianza Mas-Eurosur è la porta di entrata per le industrie che producono i droni. Da Airbus, multinazionale aerospaziale e della difesa, prima per produzione di areomobili civili, all’Iai (Israel Aerospace Industries), alla Elbit, altra società di armamenti israeliana, all’italiana Leonardo, ex Finmeccanica. Proprio Leonardo ha firmato a febbraio 2021 un contratto da 6,9 milioni con il ministero dell’Interno italiano per il noleggio di un aereo senza pilota da usare nella sorveglianza marittima: «Per un periodo di 12 mesi in uso presso il centro nazionale di coordinamento-Eurosur». Un buon affare per la società partecipata dal governo italiano: quasi 7 milioni di euro per un anno di sorvolo di un modello di drone usato anche in operazioni militari di intelligence.

Le risorse stanziate provengono dal Fondo sicurezza interna 2014-2020 che vale quasi mezzo milione di euro, poco più della metà stanziati dall’Unione europea. Il dettaglio delle spese dell’intero progetto rivela il vero intento del fondo: la stragrande maggioranza delle risorse è stato destinato al controllo delle frontiere, con 367 milioni di euro di cui 48 per implementare la rete Eurosur e 82 milioni alla voce generica “strumenti Frontex”.

Il 29 maggio 2018, per esempio, è stato il comando generale della Guardia di finanza a usare il fondo di sicurezza interna: 250 milioni di euro che sono stati dati a Leonardo per un aereo bimotore necessario al pattugliamento marittimo. In quegli anni Leonardo ha firmato anche un contratto direttamente con Frontex: nel 2018, per 300 ore di volo di un drone, al costo di 1,6 milioni. L’altro lotto lo ha vinto l’azienda israeliana, Iai. Nel 2020 stesso meccanismo ma stavolta i contratti li hanno siglati Airbus, Iai ed Ebit: due contratti per un totale di 100 milioni. I droni forniti da Iai sono velivoli militari, usati anche dalle forza armate. Tutte queste commesse, si legge nei documenti della gara, sono destinate a Italia e Malta. Il che vuol dire che da qui voleranno per vigilare sul tratto di Mediterraneo interessato. Leonardo ha fatto ricorso sull’ultima gara vinta da Airbus: la corte europea che tratta questo tipo di contenziosi ha respinto la richiesta dell’industria italiana, scrivendo in sentenza che potrà comunque partecipare a future gare senza alcuna limitazione.

Leonardo, Airbus, Iai, Ebit sono le aziende che spesso sono state ospiti di Frontex in convegni in cui hanno presentato le tecnologie prodotte. Convegni organizzati anche prima della pubblicazione delle gare europee. Conflitto di interesse? Frontex ha risposto dicendo che l’Agenzia opera con la massima trasparenza, con fornitori affidabili e rispettando i principi etici.

Se la sorveglianza delle frontiere è un affare redditizio e anche merito delle politiche di esternalizzazione delle frontiere, con la Libia delegata a effettuare quei respingimenti che l’Italia non può fare perché violerebbe i diritti umani. Politiche che trovano legittimazione definitiva nel memorandum d’intesa fortemente voluto da Minniti e Gentiloni.

L’obiettivo primario dell’accordo è la formazione dei guardacoste libici, la creazione di un corpo in grado di badare alle proprie frontiere, bloccare le partenze o intercettare i gommoni carichi di migranti nella parte di Mediterraneo di competenza di Tripoli: per farlo è stata prevista l’istituzione di una zona Sar, di ricerca e soccorso, libica, all’interno della quale le motovedette, fornite dal governo italiano, avrebbero potuto operare in piena libertà per riportare nei gironi carcerari chi da lì stava fuggendo. Un cambio epocale, che ha aperto anche nuovi business per il controllo delle frontiere. Più informazioni si catturano dal cielo più i libici sono in condizione di bloccare le navi in partenza. L’obiettivo è evitare l’arrivo in Europa. Un muro invisibile, appunto.

«Il memorandum non aveva questa intenzione, anzi finché siamo stati noi al governo la nostra Guardia costiera andava a salvare vite fin dentro le acque internazionali libiche», precisa una fonte vicina all’ex ministro Minniti, che aggiunge: «Dovete indagare su cosa sia accaduto dopo». Di certo non è solo merito dell’accordo, le istituzioni europee hanno contribuito stimolando il potenziamento della Guardia costiera libica, che con il governo gialloverde, ministro dell’Interno Matteo Salvini, è diventata protagonista dei respingimenti camuffati da salvataggi. Sono trascorsi quattro anni dal patto Italia-Libia.

A febbraio scorso Minniti è stato nominato nella fondazione MedOr di Leonardo. Di cosa si occupa MedOr? «Permetterà in particolare di consolidare le relazioni con gli stakeholder dei paesi di interesse, al fine di qualificare Leonardo come un partner tecnologico innovativo nei settori dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza». Settore di investimento, quest’ultimo, che ha risentito positivamente dell’accordo Italia-Libia firmato dall’ex ministro. Minniti, contattato, esclude che si possa parlare di conflitto di interesse: «Da ministro non trattavo appalti e non ho avuto alcun ruolo nei contratti di cui parlate». Poi ci tiene a precisare che la fondazione di Leonardo non ha scopi di business: «Ha altre finalità, costruire un punto di vista comune su aree strategiche per l’Italia, come può essere il Mediterraneo, come del resto fanno molti altri paesi da tempi lontanissimi».

Il braccio Frontex

Perno di questa strategia anti immigrazione è Frontex: il budget destinato alla struttura con sede a Varsavia è cresciuto di continuo, toccando quota mezzo miliardo nel 2021. Nel bilancio dell’Unione europea sono indicate le previsioni di spesa destinata a Frontex nei prossimi anni: per il 2027 oltre 1 miliardo. Il capitolo generale del bilancio dell’Unione chiamato «gestione delle frontiere» passerà dagli attuali 1,8 miliardi (2021) agli oltre 3,6 tra sei anni. Un terzo spetta a Frontex, dove lavorano 1.300 persone che costano 88,6 milioni di euro: una media di 70mila euro a testa.

La destinazione di questa massa enorme di risorse non ha pari tra le agenzie europee. Per esempio le strutture che si occupano di asilo politico, tutte assieme, non superano un budget di 400 milioni. E tutta la voce di bilancio “migrazioni” è pari al miliardo di oggi che diventerà oltre 2 nel 2027. La scelta dell’Europa è chiara: finanziare a tutto spiano l’Agenzia del respingimento, che supervisiona le regia dell’esternalizzazione delle frontiere, al centro però di recenti scandali e inchieste che ne hanno minato la credibilità.

L’antifrode di Bruxelles (Olaf) sta indagando su alcune opacità gestionali, e seppure l’Agenzia sia stata prosciolta da ogni accusa sui respingimenti illegali nel mare Egeo resta il sospetto su alcune operazioni durante le quali di sicuro ha prevalso il laisseiz faire. Se poi ci si avventura nella lettura del bilancio di Frontex stupiscono le spese rilevanti per attività non strettamente connesse al controllo delle frontiere. A colpire è soprattutto la spesa per curare l’immagine dell’Agenzia più ricca d’Europa: più di un milione di euro per ufficio stampa e comunicazione. «L’ufficio stampa si occupa delle attività del portavoce, delle notizie, delle conferenze», hanno risposto da Varsavia. A fronte di cifre così consistenti, l’attività social di Frontex dovrebbe essere piuttosto prolifica. Invece i social manager pubblicano uno, massimo due post al giorno. Nel 2019, si legge nel bilancio, sono stati fatti 300 tweet, meno di uno al giorno.

Tra le spese dell’ultimo rendiconto disponibile troviamo feste per lo staff inclusi i parenti dei dipendenti: costo complessivo più di 200mila euro. «Sono eventi interni per creare coesione che favorisce l’interazione tra i dipendenti», hanno spiegato dall’Agenzia. Tra gli eventi organizzati ci sono i party natalizi, gli happy hour mensili, le colazioni mensili per i compleanni e le attività per la creazione di un «coro di Frontex». Inoltre, aveva rivelato Euobserver, dal 2016 al 2019, per eventi di gala l’agenzia ha speso 2,1 milioni. A seguire ci sono i costi di rappresentanza: 100mila euro. E mezzo milione per incontri tra i membri del board. Infine 7 milioni di noleggi. «Nel complesso le spese di locazione si riferiscono all’affitto delle strutture adibite a sede dell’agenzia, Frontex non le possiede. Attualmente queste strutture ospitano circa 800 membri del personale».

La sede e i lavori

Frontex ha sede a Varsavia. Sulla gestione degli attuali uffici la Corte dei conti europea ha avuto qualche dubbio. «Gli auditor della Corte – si legge in una relazione – hanno controllato un pagamento di 2 milioni di euro effettuato per lavori di ristrutturazione svolti nella sede dell’Agenzia». In pratica l’ufficio diretto dal francese Fabirce Leggeri aveva modificato le disposizioni contrattuali in una fase molto avanzata del progetto, introducendo la possibilità di effettuare un prefinanziamento per lavori non ancora completati. Ma secondo le originarie disposizioni contrattuali i pagamenti dovevano essere effettuati solo a lavori ultimati. «Operando questa modifica, l’Agenzia ha rinunciato a un elemento chiave del controllo. Incide poi sulla capacità delle autorità di bilancio di monitorare in modo appropriato l’esecuzione del bilancio e le attività dell’Agenzia» si legge nei documenti della Corte dei conti. Sospetti sull’operazione, dunque, ai quali Frontex ha risposto convincendo i giudici contabili europei. Il regolamento finanziario dell’Ue consente i pagamenti solo una volta che i lavori sono stati effettuati, mentre nel caso della sede di Varsavia, l’Agenzia ha autorizzato un pre finanziamento. «Frontex occupa le sue attuali strutture dal 2015 e sono stati necessari alcuni lavori di ristrutturazione, che non sono stati completati come previsto a causa di gravi difficoltà nel mercato edile polacco», ha risposto Frontex. I documenti ottenuti mostrano che l’Agenzia ha utilizzato un pre finanziamento, ma che l’azienda polacca deve ancora rimborsare i soldi, perché? «Il pre finanziamento è stata una soluzione che ha permesso di proseguire e completare la ricostruzione dell’edificio. È stato pagato il proprietario e non l’appaltatore. Il proprietario restituirà a Frontex i fondi inutilizzati, il tutto garantito da garanzie contrattuali» dicono dall’Agenzia. Un altro documento, tuttavia, mostra che dopo aver anticipato 2 milioni per rinnovare la sede in affitto, di proprietà di un privato, Frontex nei mesi scorsi ha pubblicato un avviso di gara per la realizzazione del nuovo quartier generale sempre a Varsavia: «Un edificio di 70mila metri quadri per una media di 2.000 membri del personale». Duemila dipendenti a fronte di effettivi 1.300.

L’appalto da 112 milioni

Il prezzo di partenza è notevole: 112 milioni di euro. Su questi appalti al momento non c’è nulla di penalmente rilevante, a differenza degli affidamenti fatti negli anni a un’azienda informatica polacca, l’ultimo del valore di 50 milioni. Su questi contratti polacchi il direttore Leggeri era stato avvertito di possibili irregolarità da funzionari interni, ma, come hanno rivelato le testate giornalistiche Der Spiegel, Libération e Lighthouse, Frontex ha continuato a stipulare accordi con la stessa società. Un affare sul quale indaga l’antifrode, che ha già passato al setaccio gli uffici dell’Agenzia europea da cui dipende parte dei profitti dei colossi degli armamenti.

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