Da Chicago a Memphis, arrivano i soldati: Trump gioca a fare il piccolo dittatore

«Il sindaco di Chicago dovrebbe essere in prigione per non avere protetto gli agenti dell’Ice! E anche il governatore Pritzker!». Lo ha scritto Donald Trump sul social Truth, inaugurando così il dispiegamento della guardia nazionale a Chicago, nuova tappa, dopo Portland, dell’opera di militarizzazione federale, portata con il pretesto di fermare la criminalità. In particolare quella diretta agli agenti della polizia migratoria. Memphis potrebbe essere la prossima tappa. L’obiettivo dichiarato è contrastare l’ondata di criminalità urbana e le presunte infiltrazioni di gruppi “antifa”. Ma dietro la retorica della sicurezza si profila uno scontro senza precedenti tra la Casa Bianca e i governi locali. Alle porte della città Centinaia di soldati della National Guard provenienti dal Texas si sono insediati presso una caserma a Elwood, 90 chilometri a sud-ovest di Chicago. Sono arrivati nonostante un ricorso in tribunale e la ferma opposizione delle autorità dell’Illinois, che accusano Trump di usare le forze armate come «pedine politiche». Il governatore democratico J. B. Pritzker ha parlato di «una guerra dichiarata alla nostra sovranità statale», mentre il sindaco di Chicago, Brandon Johnson, ha firmato un ordine esecutivo che vieta agli agenti federali di utilizzare proprietà comunali per operazioni d’immigrazione. Per questo meritano il carcere, a detta del presidente. L’amministrazione, dal canto suo, giustifica il dispiegamento con la necessità di «proteggere proprietà federali e cittadini americani da criminali e radicali». Ma i dati della polizia cittadina raccontano altro: gli omicidi a Chicago sono calati del 31 per cento nei primi otto mesi dell’anno, mentre i reati violenti complessivi segnano il minimo dal 2019. Una discrepanza che alimenta i sospetti su un’operazione più politica che di sicurezza pubblica. L’éra di Trump, campione dell’imbarbarimento e della polarizzazione negli Stati Uniti Una crisi federale Il capo della polizia di Memphis ha confermato che un gruppo di comandanti militari si trova già in città per pianificare l’arrivo dei reparti federali, previsto entro venerdì. Il governatore del Tennessee, un repubblicano, ha annunciato che i soldati verranno dispiegati per «supportare» la polizia locale, ma il ruolo effettivo dei militari resta poco chiaro. Intanto, da Portland — dove tutto è iniziato — arriva un altro segnale di tensione. Un giudice federale dell’Oregon ha bloccato l’uso della Guardia nazionale dopo che la governatrice democratica, Tina Kotek, ha ribadito che «non c’è nessuna insurrezione nello stato». Ma la Casa Bianca sembra decisa ad andare avanti: Trump ha parlato apertamente della possibilità di estendere le missioni militari a Baltimora, New Orleans, Oakland e Los Angeles. Un messaggio coerente con la promessa, fatta davanti ai vertici militari riuniti, di trasformare il paese in un campo di addestramento. Sul piano legale, la questione ruota attorno a due norme. Da un lato il Posse Comitatus Act del 1878, che limita severamente l’impiego delle forze armate in operazioni di ordine pubblico; dall’altro l’Insurrection Act, una norma del 1807 che consente al presidente di dispiegare truppe attive sul suolo nazionale in caso di «insurrezione» o di resistenza armata all’autorità federale. Trump ha già evocato la possibilità di ricorrere a questa seconda legge, affermando di essere «pronto a fare tutto ciò che serve per ripristinare la legge e l’ordine». Ma l’invocazione dell’Insurrection Act segnerebbe una svolta pericolosa: significherebbe sospendere, almeno in parte, la sovranità dei governi statali, aprendo la strada a un impiego diretto dell’esercito contro cittadini americani. I precedenti sono rari e controversi — dall’integrazione razziale negli anni Cinquanta alle rivolte di Los Angeles del 1992 — ma mai, nella storia recente, un presidente aveva minacciato di usarlo per reprimere disordini di natura politica o sociale. Diversi consiglieri militari della Casa Bianca hanno messo in guardia Trump dai rischi di una simile decisione: l’uso dell’Insurrection Act, in un contesto di forte polarizzazione, potrebbe essere interpretato come un colpo di mano autoritario. Per ora, il Pentagono tace, ma alcune fonti riferiscono di un profondo disagio tra i vertici delle Forze Armate, poco inclini a un coinvolgimento diretto nella politica interna. Sui sogni da Nobel di Trump pesa il fattore Netanyahu Mosca esulta La crisi americana non passa inosservata all’estero. I media russi hanno dedicato ampio spazio agli scontri interni, presentandoli come la prova del declino dell’Occidente. L’agenzia Ria Novosti ha ironizzato sull’«America in guerra con sé stessa», mentre commentatori vicini al Cremlino hanno paragonato le immagini di Chicago alle proteste di Kiev nel 2014. Per il ministero degli Esteri russo, l’uso dei militari nelle città americane dimostrerebbe «l’ipocrisia di Washington» sui diritti umani e la democrazia. Con la Guardia nazionale schierata alle porte di Chicago e pronta a entrare a Memphis, l’America appare divisa come non mai. Le istituzioni resistono, ma l’equilibrio tra ordine e libertà è sempre più fragile. Ne sa qualcosa James Comey, reo – agli occhi di Trump – di aver indagato sul Russiagate: nell’udienza preliminare del processo che lo vede accusato di false dichiarazioni e intralcio al Congresso, l’ex direttore dell’Fbi si è dichiarato «non colpevole». Se condannato, rischia cinque anni di carcere. La difesa si mostra combattiva: «Questa azione penale è stata avviata dal presidente», ha dichiarato l’avvocato di Comey, Patrick Fitzgerald, aggiungendo che la difesa di Comey potrebbe presentare una mozione per «condotta governativa oltraggiosa». La Guardia nazionale a Washington: il volto cinico e autoritario di Trump