Le due forze militari impegnate nella guerra civile in Sudan hanno deciso di prolungare di cinque giorni la tregua che sarebbe dovuta scadere ieri sera. Il comandante dell’esercito regolare, Abdel Fattah al-Burhan e il capo delle forze di supporto rapido (Rsf), Mohamed Hamdan Dagalo, sono stati ammoniti dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti per non aver rispettato la sospensione dei combattimenti iniziata il 22 maggio. 

Quest’ultimo cessate il fuoco aveva portato almeno a un’interruzione dei combattimenti pesanti, anche se erano continuati gli scontri sporadici e gli attacchi aerei. Alcune ore prima dello scadere però, i residenti avevano riferito di scontri con un'intensità maggiore in tutte e tre le grandi città intorno alla confluenza del Nilo: Khartoum, Omdurman e Bahri. In particolare a Omdurman per tutto il pomeriggio di lunedì 29 maggio numerosi attacchi aerei hanno colpito la città alla ricerca dei nascondigli delle Rsf.

I due mediatori

Stati Uniti e Arabia Saudita si sono impegnati affinché Dagalo e al-Burhan raggiungano un accordo per porre fine ai combattimenti. Specialmente Ryad che dopo anni di polarizzazione e assertività militare, ha capito che stabilità e cooperazione regionale sono funzionali al perseguimento degli obiettivi del regno in economia e per consolidare la sua egemonia nel medioriente.

Per adesso una negoziazione tra le due forze non sembra possibile perché entrambe sono convinte di vincere e le esortazioni dei due stati si risolvono solo in brevi tregue – che avrebbero l’obiettivo di permettere l’arrivo di rifornimenti umanitari alla popolazione sudanese – puntualmente violate da entrambe le parti.

L’accordo di Gedda

Il 12 maggio Stati Uniti e Arabia saudita erano riusciti a far incontrare Dagalo e al-Burhan a Gedda per un tavolo pre-negoziale. Probabilmente negli intenti dei due mediatori c’era la volontà di arrivare a una mediazione tra i due, che non si è trovata durante il «difficile» colloquio tra i generali, come lo ha definito una fonte diplomatica americana. Tuttavia nell’accordo siglato al termine dell’incontro le parti si sono impegnate a proteggere i civili sudanesi, a far entrare l’assistenza umanitaria, a consentire il ripristino dell'elettricità, dell'acqua e di altri servizi di base, a ritirare le forze di sicurezza dagli ospedali e a organizzare una «sepoltura rispettosa» dei morti.

Il funzionario americano ha però specificato che l’accordo non avrebbe portato a una nuova tregua – decisa poi domenica 21 – ma che si trattava solamente di una « affermazione degli obblighi di diritto umanitario internazionale, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei civili e il lavoro degli operatori umanitari».

La crisi alimentare

Nonostante l’accordo di Gedda e la successiva tregua, le Nazioni unite e altri gruppi di soccorso affermano che hanno faticato a ottenere le approvazioni burocratiche e le garanzie di sicurezza per trasportare gli aiuti e il personale nella capitale Khartoum e in altre zone bisognose.  Il Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni unite ha dichiarato di aver potuto effettuare dolo sabato le prime distribuzioni di cibo nella capitale dall’inizio del conflitto e di aver raggiunto più di 12mila persone a Omdurman, in aree controllate sia dall’esercito regolare che dalle Rsf. Il Pam spera però di raggiungere almeno altre 500 mila persone nella capitale.

Il Pam prevede che nei prossimi mesi fino a 2,5 milioni di persone in Sudan soffriranno la fame. Un anticipo della probabile futura carestia si è già consumato nel più grande orfanotrofio di Khartoum “Maygoma House” dove 50 bambini, di cui venti neonati, sono morti nelle sei settimane di combattimenti a causa della mancanza di cibo necessario a sfamarli.

I decessi e gli sfollati

Secondo il ministero della Sanità sudanese i combattimenti hanno per adesso causato la morte di più di 700 persone, ma a detta dello stesso ministero al cifra potrebbe facilmente essere più alta a causa delle difficoltà di accesso alle zone di conflitto da parte degli operatori umanitari. L’associazione dei medici sudanesi infatti registra già 886 vittime civili e migliaia di feriti, ma anche l’associazione avverte che la stima potrebbe essere ben più elevata.

Il governo ha registrato inoltre che 510 persone sono decedute solo a El Geneina, una delle principali città del Darfur, regione occidentale del Sudan già segnata dalla guerra all’inizio degli anni duemila. Secondo i residenti ribelli ed esercito hanno combattuto nel Darfur con ogni tipo di armi. Il governatore di questa vasta regione occidentale del Sudan ha esortato tutti i civili «giovani e anziani», «donne e uomini» a imbracciare le armi per difendere le loro proprietà.

Associated Press/LaPresse

Non solo morti e feriti, la guerra sta ovviamente creando migliaia di sfollati. Il capo dell’agenzia Onu per i rifugiati ha dichiarato che prevede la fuga di oltre un 1 milione di persone dal paese entro ottobre. Per adesso più di 350mila civili sono già fuggiti nei paesi vicini, la maggior parte dei quali in Egitto, Ciad e Sud Sudan. 

Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, durante il suo intervento all’università Federico II di Napoli per una delle tre giornate in previsione del vertice Onu sui sistemi alimentari ha ricordato tra le altre cose la guerra in Sudan, chiedendo un aiuto all’ Onu per la gestione del flusso migratorio che si prevede aumentare nei prossimi mesi.

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