Dentro il governo di Israele è forse arrivata l’ora della resa dei conti. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha aperto le operazioni, in sintonia con le affermazioni del segretario di Stato Antony Blinken. Gallant ha chiesto a Benjamin Netanyahu di «prendere pubblicamente una decisione e dichiarare che Israele non governerà la Striscia di Gaza con civili e che non ci sarà alcun governo militare».

Un duro attacco politico, mirato a far uscire allo scoperto il premier, sempre enigmatico sul futuro della Striscia per non alienarsi l’appoggio della destra messianica di Bezalel Smotrich e di Itamar Ben-Gvir. Secondo Gallant, avere un apparato di sicurezza a Gaza il giorno dopo la sconfitta di Hamas comporterebbe costi non necessari di vite israeliane.

«Presto dovremo prendere una decisione: se riportare i nostri sfollati a casa loro al nord o con un accordo o un’azione militare», ha aggiunto il ministro della Difesa israeliano. Parlando come un premier in pectore, Gallant si è riferito alle decine di migliaia di israeliani che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni al confine con il Libano a causa dei continui lanci di razzi da parte degli Hezbollah, cominciati subito dopo il 7 ottobre.

La replica

La replica è arrivata nel giro di poche ore, con le voci del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e del ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi. Entrambi hanno chiesto la testa di Gallant. «Un simile ministro della Difesa deve essere sostituito per raggiungere gli obiettivi della guerra», ha detto Ben Gvir, citato da Haaretz. «Dal punto di vista di Gallant, non c’è differenza se Gaza sarà controllata dai soldati israeliani o
dagli assassini di Hamas». Il risultato di Gallant è stato quello di aver stanato Netanyahu: «Finché Hamas resta a Gaza, nessun altro governerà la Striscia: certamente non l’Autorità nazionale palestinese. Non sono disposto a passare da Hamastan a Fatahstan», in riferimento alla parte politica dell’Anp. Secondo le ricostruzioni di Ravid Barak di Axios, in Consiglio dei ministri aveva detto che Israele non è uno «stato vassallo» e che la guerra continuerà fino alla distruzione di Hamas.

Una situazione molto tesa all’interno del governo di unità nazionale, dove non è escluso che gli Usa stiano esercitando forti pressioni per evitare l’attacco a Rafah. Secondo il quotidiano britannico Financial Times, gli Stati Uniti starebbero premendo su diversi stati arabi perché prendano parte a una forza multinazionale di pace a Gaza, una volta terminata la guerra. Ipotesi vista come fumo negli occhi da Netanyahu.

Il pacchetto Biden

Intanto, a Washington, Joe Biden procede al Congresso con un pacchetto di armi per Tel Aviv da un miliardo di dollari. Secondo l’editorialista israeliano Gershon Baskin si tratta di una manovra a fini elettorali, in vista del doppio dibattito con Donald Trump, dopo le precedenti scelte della Casa Bianca di bloccare le forniture delle super bombe a Tel Aviv. L’amministrazione Biden ha notificato al Congresso che intende procedere con la vendita di armi per un miliardo di dollari a Israele.

Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali la decisione di procedere mette in evidenza la riluttanza dell’amministrazione ad ampliare ancora di più il divario con il premier israeliano Netanyahu. Il pacchetto dovrebbe includere 700 milioni di dollari di munizioni per carri armati, 500 milioni di dollari di veicoli tattici e 60 milioni di colpi di mortaio. Il pacchetto di armi arriva una settimana dopo la pausa alle spedizioni delle bombe ad alta carica.

In effetti l’esercito israeliano, con tank e truppe, si sta spingendo ulteriormente nelle zone abitate della parte orientale della città di Rafah, nel sud della Striscia.

Già nei giorni scorsi l’esercito era entrato nel quartiere di Jneina, ora è avanzato oltre, raggiungendo il quartiere di Brzail e la parte occidentale della Salah a-Din, una delle maggiori arterie. Alcuni media internazionali citano testimonianze sul posto, secondo le quali ci sono stati scontri, i tank israeliani sono stati visti sulla George street a Jneina.

Le tensioni con l’Ue

Infine è arrivato il durissimo monito dell’Unione europea, che ha esortato Israele a porre immediatamente fine alla sua operazione militare a Rafah. «Questa operazione sta ulteriormente interrompendo la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza e sta portando a ulteriori sfollamenti interni, all’esposizione alla carestia e alla sofferenza umana», afferma l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell.

«Più di un milione di civili si stanno rifugiando a Rafah e dintorni e a loro è stato detto di evacuare in aree che, secondo le Nazioni Unite, non possono essere considerate sicure. Sebbene l’Ue riconosca il diritto di Israele a difendersi, Israele deve farlo in linea con il diritto internazionale umanitario e garantire sicurezza ai civili», si legge nella dichiarazione.

«L’Unione europea invita Israele ad astenersi dall’aggravare ulteriormente la già terribile situazione umanitaria a Gaza e a riaprire il valico di Rafah. Se Israele dovesse continuare la sua operazione militare a Rafah, ciò metterebbe inevitabilmente a dura prova le relazioni dell’Ue con Israele», evidenzia il capo della diplomazia europea. Parole molto dure che non si sentivano da tempo a Bruxelles e che non mancheranno di provocare forti reazioni a Tel Aviv.

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