Il presidente americano, Joe Biden, ha aperto una conferenza stampa congiunta con il primo ministro australiano Anthony Albanese a Washington affermando che il sostegno degli Stati Uniti alla difesa di Israele è ferreo, ma che le parti dovranno pensare al futuro della regione una volta risolta la crisi di Gaza. Come? In che modo?

La soluzione proposta da Biden è nel solco della posizione storica sempre tenuta dagli Usa sulla questione palestinese, affermando che lo status quo ante 7 ottobre non esiste e bisogna procedere verso una soluzione a due stati. Ma se l’obiettivo è chiaro, meno facile sarà riuscire a raggiungerlo. Biden è il primo a sapere quanto ardua sia la via indicata da Washington per riuscire ad applicare la soluzione dei due stati.

L’elefante nella cristalleria

Durante la sua visita in Israele il 18 ottobre, Biden aveva avvertito il suo alleato di non ripetere gli “errori” commessi dagli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre quando per prendere dei terroristi di al Qaida vennero messi a ferro e fuoco interi stati, facendo il gioco di Bin Laden e dei nemici dell’America.

Gli Usa si mossero in Medio Oriente come quell’elefante in una cristalleria: per uccidere una mosca distrugge l’intero negozio. Poi di fronte al caos provocato dalla loro sconsiderata reazione, dal peso dei morti americani, dai costi di quelle guerre decisero di ritirarsi e lasciare l’area ai loro nemici, l’Iran e i russi in Siria, l’Afghanistan ai talebani dopo 20 anni di conflitto.

Una politica cinica che abbandonò i curdi siriani dell’Ypg al loro destino dopo che avevano costituito la fanteria sul terreno contro lo Stato islamico. Quanto alla questione palestinese, sotto la presidenza Trump e poi con Biden, gli Usa credettero di trovare la pace favorendo gli accordi di Abramo tra Israele da una parte, gli Emirati arabi, il Bahrein, il Marocco, il Sudan dall’altra, e in prospettiva l’Arabia Saudita, lasciando sullo sfondo i palestinesi. Un grave errore di valutazione. Gli ultimi eventi hanno segnato la fine della “dottrina Netanyahu” che puntava alla pace con il mondo arabo ignorando i palestinesi.

Non a caso Biden ha detto di ritenere che una delle ragioni per cui i militanti di Hamas hanno attaccato il sud di Israele, uccidendo 1.400 israeliani il 7 ottobre, fosse proprio quella di impedire la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia.

Nel frattempo gli attacchi aerei israeliani come rappresaglia hanno ucciso oltre 6.500 persone, ha sostenuto mercoledì il ministero della Sanità nella Gaza governata da Hamas, cifre che nessuno può verificare ma che hanno riportato in primo piano lo spettro dell’estensione del conflitto nell’area.

L’ambasciata a Tel Aviv

«Quando la crisi sarà alle nostre spalle, occorrerà avere una visione di ciò che verrà dopo. E per noi, questo deve passare attraverso una soluzione a due Stati», ha detto il presidente americano, uno palestinese e uno israeliano e un’integrazione di Israele tra i suoi vicini arabi.

«Israele e palestinesi meritano ugualmente di vivere fianco a fianco in sicurezza, dignità e pace», ha detto Biden. «Ciò significa uno sforzo concentrato da parte di tutte le parti: israeliani, palestinesi, partner regionali, paesi globali, leader – per metterci sulla strada della pace».

Basterà questa presa di posizione della Casa Bianca per evitare che il conflitto si allarghi? Forse Biden, per dare enfasi alle sue parole, potrebbe fare un gesto importante e chiudere l’ambasciata Usa a Gerusalemme riportandola a Tel Aviv, sciogliendo una contraddizione con i suoi alleati europei che non hanno mai riconosciuto la decisione di Donald Trump di spostarla e stanno chiedendo una tregua umanitaria su Gaza.

La violenza dei coloni

Ovviamente Biden ha detto di «non avere idea» dei numeri dei morti citati dalle fonti palestinesi. «Sono sicuro che sono stati uccisi degli innocenti, e questo è il prezzo di una guerra», ha detto. «Non ho fiducia nel numero utilizzato dai palestinesi».

Biden non ha spiegato, ma ha anche espresso preoccupazione per il trattamento riservato ai palestinesi da parte di alcuni gruppi estremisti israeliani. «Continuo a essere allarmato per i coloni estremisti che attaccano i palestinesi in Cisgiordania», ha detto, accusandoli di aver versato benzina sul fuoco. «Stanno attaccando i palestinesi nei luoghi in cui hanno il diritto di esistere, e questa cosa deve finire».

Che la tensione stia raggiungendo livelli preoccupanti lo si evince anche da altri segnali. La Giordania è di gran lunga lo stato arabo più amichevole nei confronti di Israele ma questo non ha impedito alla regina Rania di rilasciare una rara intervista alla giornalista di origini iraniane Christiane Amanpour della Cnn, in cui critica il doppio standard dell’Occidente sulla questione palestinese.

Un segnale preoccupante. Che si aggiunge alle parole riportate dall’Osservatore Romano del patriarca cattolico di Gerusalemme, cardinale Pizzaballa, secondo cui «solo ponendo fine a decenni di occupazione e alle loro tragiche conseguenze e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese si potrà avviare un serio processo di pace».

Anche qui niente di nuovo ma ora la situazione si è fatta più difficile e il rischio di un conflitto più ampio sta crescendo e molti attori di oggi assomigliano ai “Sonnambuli” di Christopher Clark, nel suo libro su come l’Europa arrivò alla Grande guerra dopo l’attentato di Sarajevo.

Biden vuole svegliare i sonnambuli e placare gli incendiari, un cammino arduo ma senza alternative, se non tornare a «due Stati per due popoli in pace e sicurezza», la formula di Oslo ideata 30 anni fa. Certo gli estremisti delle due parti cercheranno di far deragliare ancora una volta questo progetto.

Prima della crisi, il presidente turco Erdogan era sul punto di andare in Israele in visita ufficiale e pregare alla moschea di al Aqsa. Sarebbe stato un avvenimento storico. Forse Hamas ha bloccato anche questa riconciliazione

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