Asse Zelensky-Trump: missili Tomahawk e sanzioni per “piegare” la Russia

Chiusa una crisi, è subito il turno di dedicarsi a un’altra. Appena messa insieme una pace traballante a Gaza, Donald Trump torna a occuparsi di Ucraina e venerdì 17 si prepara a ricevere a Washington Volodymyr Zelensky. È stato lo stesso segretario alla Difesa Usa, Pete Hegseth, a menzionare esplicitamente il collegamento tra i due negoziati. «Speriamo di ottenere una pace come in Medio Oriente», ha detto Hegseth a Bruxelles, dove ha incontrato il “gruppo di contatto” dei paesi Nato che stanno fornendo armi all’Ucraina. L’obiettivo della Casa Bianca è chiaro: riportare Vladimir Putin al tavolo delle trattative, dopo che il Cremlino si è fatto beffe delle minacce lanciate per tutta l’estate e ha ufficialmente proclamato i colloqui di pace «in pausa». Dopo Gaza, l’Ucraina: Trump cerca un altro trionfo La ricetta Volodymyr Il problema è come fare. Negli ultimi sei mesi di trattative, Trump non è sembrato avere le idee troppe chiare su come procedere. Zelensky, invece, arriverà alla Casa Bianca con un piano preciso: chiederà il via libera alla consegna di missili a lungo raggio Tomahawk e proporrà di allargare ulteriormente la rete delle sanzioni alla Russia e ai suoi alleati. La consegna dei missili sembra il passaggio più facile, tanto che la delegazione ucraina che sta preparando il terreno all’arrivo di Zelensky mercoledì 15 ha visitato la fabbrica della Raytheon che li produce. Trump sembra ormai persuaso a dare il suo via libera, anche se con almeno un caveat: gli Stati Uniti non regaleranno nulla. Saranno gli altri paesi Nato a dover sborsare il denaro necessario all’acquisto. «Tutti i paesi seduti a questo tavolo devono partecipare – ha detto Hegseth a Bruxelles – senza scrocconi», ha aggiunto, dimenticando il particolare che l’Unione europea ha speso molto più degli Stati Uniti in questa crisi, e sta continuando a spendere, mentre gli americani hanno di fatto tagliato gran parte dei loro costi. Svetlana Gannushkina: «Putin sogna l’Urss ma i suoi obiettivi stanno andando in frantumi» Farlo notare, però, è troppo rischioso visti gli umori volatili della Casa Bianca, e così i «ministri della Guerra» – così Hegseth ha chiamato i suoi colleghi a Bruxelles – si sono affrettati a elencare le recenti spese che hanno affrontato per rispondere alle richieste di Washington. I britannici hanno ricordato gli 85mila droni consegnati a Kiev negli ultimi sei mesi, mentre i tedeschi hanno annunciato un investimento da dieci miliardi nella produzione di velivoli senza pilota e l’invio di caccia in Polonia per pattugliare il fianco orientale della Nato. Gli esperti però già mettono in guardia dal considerare i Tomahawk il “proiettile d’argento” che finalmente costringerà la Russia a trattare. Da un lato è vero che questi missili a lunghissimo raggio – fino a 1.600 chilometri – aumenteranno notevolmente la capacità ucraina di colpire obiettivi situati in Russia, in particolare le raffinerie che costituiscono uno dei talloni d’Achille dell’economia russa. Molto però dipenderà da quanti missili saranno effettivamente consegnati, da quali limitazioni saranno imposte al loro utilizzo e da come la Russia deciderà di rispondere. Putin ha già detto di non essere preoccupato, quando pochi giorni fa ha liquidato la questione affermando che Mosca si limiterà a «rafforzare le difese aeree» per contrastare l’eventuale arrivo di questi missili. Necrologi ed eredità, così i soldati morti in Ucraina si possono “contare” Il nucleare fantasma Nel frattempo, l’entourage di Putin continua a battere sull’escalation che la consegna dei Tomahawk rappresenterebbe, nel tentativo di spaventare l’amministrazione Usa. Questi missili, sottolineano al Cremlino, sono capaci di trasportare testate nucleari e, quando saranno in volo verso la Russia, la difesa aerea di Mosca non avrà modo di sapere se trasportano un’arma atomica o meno. La possibilità che all’ultimo minuto Trump si convinca che questa mossa sia troppo rischiosa rimane concreta. Gli ucraini puntano anche su un allargamento delle sanzioni, obiettivo a cui lavora il cosiddetto “team Yermak-McFaul”, che alla fine dell’estate ha pubblicato un lungo documento destinato ai leader di Stati Uniti e Unione europea. Oltre alle misure tecniche per rafforzare l’attuale regime sanzionatorio, compreso lo stop alla concessione di visti a cittadini russi su cui la Commissione europea è al lavoro in queste settimane, la principale misura suggerita dal gruppo è l’estensione del regime sanzionatorio a India e Cina. La ragione ufficiale di questa richiesta è quella di causare danni economici ai principali partner della Russia, nella speranza che questi ultimi esercitino pressioni su Mosca affinché torni a negoziare. Ma tra le righe si intravede anche un’altra motivazione: inserire il conflitto ucraino nel più ampio scontro geopolitico tra Stati Uniti e Cina, nella speranza così di assicurarsi un sostegno a lungo termine dal presidente Trump. Sul fronte russo-ucraino, l’altro nemico è la droga