In Africa, la rapida crescita demografica ed economica è accompagnata dalla sete energetica di un continente che ancora non ha sufficiente accesso all’energia elettrica. Si stima infatti che circa otto persone su dieci in Africa subsahariana non abbiano accesso all’elettricità. La carenza energetica africana, però, non si compensa esclusivamente con l’aumento della produzione o dell’importazione di energia. L’assenza di infrastrutture per il trasporto e la distribuzione di energia è una questione altrettanto difficile a cui dover far fronte per proiettare i paesi africani verso la digitalizzazione e lo sviluppo sostenibile.

Alla sicurezza energetica africana si aggiunge anche la necessità che il continente africano, a differenza del resto del mondo, imposti il suo sviluppo su un mix energetico sostenibile e che quindi basi la sua crescita su un sistema a basse emissioni, che per l’Africa è una sfida ma anche un’opportunità. Le necessità energetiche del continente fanno sì che, per sostenere il proprio sviluppo, l’Africa potrà – e dovrà – sfruttare le enormi fonti di energia rinnovabile di cui dispone. E, se la “maledizione” per le risorse nel continente incombeva su quegli stati ricchi di diamanti, oro, combustibili fossili e terre rare, l’accresciuta importanza delle fonti rinnovabili sta estendendo con dinamiche comparabili la “resource curse” anche ad altre risorse naturali.

Una sfida complessa

La transizione energetica in Africa è un processo differente da quello che i paesi sviluppati in Europa, nord America e Asia stanno a vari livelli intraprendendo. In Africa, soprattutto nell’area subsahariana, non si tratta esclusivamente di trasformare un mix energetico ad alta intensità di carbonio in uno a bassa intensità. I paesi africani dovranno bensì produrre e distribuire energia sufficiente a raggiungere circa 600 milioni di persone che oggi non hanno accesso all’energia elettrica. La complessa sfida della transizione energetica africana richiede quindi non solo di aumentare la produzione di energia, ma anche di migliorarne la sua distribuzione in maniera capillare, per poter raggiungere aree ancora non servite da corrente elettrica.

Lo sviluppo energetico africano potrebbe basarsi sulle fonti di energia rinnovabile di cui il continente è ricco. Il potenziale dell’energia elettrica da fonti rinnovabili dell’Africa si stima infatti essere di circa 24mila TWh di elettricità ogni anno. Per comprendere la dimensione di questo valore bisogna confrontarlo con il consumo mondiale di energia elettrica nel 2019 che ammontava a poco più di 26mila TWh. A questo, bisogna aggiungere che oggi l’Africa produce solo il 2 per cento dell’energia da fonti rinnovabili a livello mondiale.

Utilizzare il pieno potenziale energetico africano consentirebbe al continente di coprire per oltre venti volte l’attuale fabbisogno di energia dell’Africa, con altrettanto vantaggiose prospettive di esportazione di energia pulita verso l’Europa. Questi dati hanno spinto molti studiosi e analisti a prefigurare per l’Africa un’elettrificazione pulita, che non passi per l’impiego massiccio di combustibili fossili per sostenere lo sviluppo.

Il fenomeno appena descritto prende il nome figurativamente molto chiaro di “energy leapfrogging”, in quanto i paesi africani, grazie all’utilizzo di fonti d’energia sostenibile, riuscirebbero a “saltare” la fase dello sviluppo basata sull’utilizzo diffuso di fonti di energia ad alto global warming potential.

Scarsità e competizione

L’Africa è un continente caratterizzato da diffusa insicurezza alimentare, povertà endemica e sistemi statali corrotti e neopatrimoniali. Questi elementi di instabilità rendono le risorse naturali un ulteriore fattore destabilizzante che può tramutarsi da opportunità in casus belli. Le risorse naturali possono infatti allo stesso tempo esacerbare il malcontento e rappresentare una via d’uscita dalla povertà e dalle difficoltà economiche.

Non a caso, il nesso tra risorse e guerra è stato frequentemente utilizzato per spiegare molti conflitti africani, sia quelli di natura intranazionale che quelli internazionali. Tuttavia, le dinamiche che legano le risorse naturali ai conflitti sono di diversa natura e non è solo la competizione per l’accesso a una risorsa scarsa a innescare fenomeni di violenza. Sia la scarsità che l’abbondanza di risorse naturali possono infatti contribuire in maniera significativa allo scoppio o al perdurare di un conflitto. Inoltre, anche la tipologia di risorsa naturale ne cambia la modalità di utilizzo delle parti coinvolte in un conflitto.

Il nesso maltusiano tra scarsità e competizione per una risorsa è la prima dinamica che verrà approfondita, poiché colpevole di accelerare lo scoppio di un conflitto. In Africa, la competizione per le risorse naturali può essere distinta tra le risorse strategiche per il settore primario e per la produzione di energie rinnovabili, da quelle non rinnovabili, da cui è possibile trarre profitto nel breve periodo e con investimenti relativamente poco impegnativi.

Dai diamanti all’oro blu

Del primo gruppo di risorse fanno parte i fiumi, le foreste e la terra. Finora questo tipo di risorse ha condotto allo scoppio di conflitti prevalentemente locali, di cui fanno parte i numerosi esempi di violenza agropastorale nel bacino del lago Ciad in Africa occidentale. Tuttavia, i cambiamenti climatici e l’accresciuto interesse per le risorse rinnovabili nell’ottica di produzione di energie pulite stanno rendendo le acque dei fiumi e le terre, dall’alto potenziale rispettivamente idroelettrico e fotovoltaico, oggetto di contenzioso anche interstatale, con profonde conseguenze geopolitiche, oltre che geoeconomiche, come dimostra la quasi decennale crisi diplomatica tra Etiopia ed Egitto.

Diverso è l’innesco di un conflitto legato a risorse da cui ricavare un profitto attraverso esportazioni e i cui costi di estrazione sono relativamente bassi. Diamanti, oro e altre pietre preziose fanno parte di questa categoria. In Africa, questo tipo di commodities rappresenta per le economie africane che ne dispongono, una doppia “maledizione”.

La prima è la stessa appena descritta per le risorse rinnovabili e che innesca il conflitto attraverso il nesso scarsità-competizione: la competizione per il controllo di queste risorse particolarmente profittevoli può infatti spingere i gruppi esclusi a cercare di accedervi in maniera violenta. Inoltre, queste risorse facilmente convertibili in disponibilità economica forniscono sostegno alle parti coinvolte in un conflitto e ne allungano la durata. Ad esempio, i diamanti insanguinati, resi celebri dall’omonimo film di Hollywood con Leonardo di Caprio, hanno permesso ai gruppi armati in Sierra Leone di combattere per tutti gli anni Novanta.

Infine, le risorse naturali possono compromettere gli accordi di pace. La mancata inclusione dei diritti di utilizzo delle risorse durante i processi di pace, o l’iniqua distribuzione delle rendite delle risorse naturali possono sia facilmente riaccendere il conflitto sia non farlo terminare. Questa dimensione delle risorse naturali trova ampia diffusione nell’Africa subsahariana, dove stati deboli non riescono a garantire l’accesso alle risorse in aree rurali o nelle porose aree di confine, rendendo quasi impossibile implementare anche il migliore degli accordi di pace.

Quindi, l’enorme potenziale energetico delle risorse rinnovabili africane, che permetterebbe ai paesi africani di incamminarsi verso un percorso di sviluppo economico a basse emissioni, diventa una sfida politica ed economica laddove instabilità locali possono trasformarsi in argini alla transizione energetica africana. Pertanto, è nell’interesse degli attori africani e degli investitori stranieri che le risorse naturali rinnovabili africane contribuiscano ad alimentare lo sviluppo e non a innescare conflitti violenti. Tale interesse potrà però essere perseguito solo attraverso una preliminare comprensione delle peculiarità del contesto africano.

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