La natura della guerra è cambiata. Siamo dentro la fog of war, la nebbia della guerra, un periodo di grande confusione in cui torti e ragioni si confondono, alle notizie si mescola la propaganda, le intenzioni vere si celano dietro l’eccitazione bellicista.

Nella nebbia della guerra gli obiettivi militari cambiano e le parti in conflitto costruiscono la loro speciale narrazione di vittoria, mirata a consolidare la propria posizione nel futuro ordine mondiale che uscirà dall’aspra contesa. Il conflitto attuale è una storia aperta: nessuno può dire come finirà, tanto meno militari o specialisti che troppe volte hanno sbagliato le previsioni.

Ritorno al vecchio mondo

Una singolare “sorta di vittoria” potrebbe essere rappresentata dalla fine dell’equilibrio nato dal crollo dell’Unione sovietica. In altre parole questa guerra potrebbe rappresentare la fine della globalizzazione e cioè del duopolio Cina-Usa che prevedeva un’Europa ridotta a mercato e una Russia marginalizzata come provider di energia.

Nel quadro della globalizzazione solo Washington e Pechino avevano i mezzi di accesso globale che mancavano alle altre potenze intermedie. Il conflitto attuale ci riporta a un vecchio mondo diviso in zone di influenza, in cui ciò che conta è il duello permanente tra sfere concorrenti che si sfidano sui quadranti del pianeta o nei diversi settori.

È un mondo che va bene alla Russia, a lei più confacente e dove al contrario la Cina non si ritrova, dopo aver tanto investito per diventare potenza globale come l’America. La deglobalizzazione indotta dal conflitto rappresenta già una mezza vittoria per chi considera il mercato globale come un’invenzione egemonica occidentale. Mosca preferisce un mondo multipolare: una scacchiera in cui le mosse possibili siano infinite e il risultato imprevedibile e mai definitivo. 

Piegare i russi

Per questo la guerra sta cambiando natura: da conflitto locale a guerra totale. Anche l’occidente è passato dall’appoggio alla resistenza ucraina alla ricerca di una vittoria; dalle armi difensive a quelle offensive e pesanti.

La guerra si estende e si incista. Gli Stati Uniti reagiscono al cambio di natura della guerra: se la posta in gioco è la deglobalizzazione vogliono evitare che la Russia diventi troppo potente. Di conseguenza l’idea non è più punire la Russia per ciò che fa in Ucraina, ma batterla, piegarla, distruggerne il potenziale economico-militare.

Fino a poche settimane fa si dichiarava il contrario e si parlava solo della legittima difesa e resistenza degli ucraini. Ora questi ultimi sono divenuti lo strumento per una cosa più grande, un altro tipo di guerra, senza limiti, in cui la pace si ottiene soltanto con la sconfitta definitiva di uno dei due protagonisti. Tale programma trasforma gli ucraini in oggetto e non più soggetto della contesa. La reciproca demonizzazione del nemico sta portando il conflitto ad un livello di non ritorno.

Diventare nazista

La guerra cambia natura anche vista dalla parte di Mosca: prima si trattava di recuperare influenza in Ucraina, oggi di dividerla, com’è dimostrato dalla condotta bellica. Denazificare l’Ucraina, secondo il lessico usato dalla leadership russa, significa denazionalizzarla togliendole il diritto ad essere nazione.

Secondo tale posizione, nazista ucraino è chiunque sia nazionalista, creda cioè nell’indipendenza dello stato ucraino. Ecco perché i media e i responsabili russi utilizzano questa parola che pare di un’altra epoca: nazista e nazionalista sono diventati sinonimi. Il potere russo non riconosce la nazione ucraina come un’entità a sé stante.

Come prove di “nazismo” ucraino l’esistenza del battaglione Azov o l’erezione delle statue di Stepan Bandera restano dettagli: il vero problema è che chiunque creda o difenda l’indipendenza dell’Ucraina diviene nazista per antonomasia.

Un’anti Russia

La tesi russa è che l’occidente abbia voluto costruire una “anti Russia” cioè un’Ucraina che incarni un “antipode” a Mosca. Tale programma occidentale è considerato tanto più pericoloso in quanto divide un “solo popolo”: russi, ucraini e bielorussi che – sempre secondo tale tesi – sono intimamente uniti. Finché si trattava di Georgia o Kazakistan (o dei paesi baltici) la cosa era grave ma sopportabile.

Toccare Kiev e Minsk significa – per chi occupa il Cremlino oggi – incidere nella carne viva della “madre Russia”. Le immagini che vediamo della distruzione delle città sono la “guerra giusta” dei russi, la risposta al pericolo esistenziale percepito a Mosca: meglio dividere l’Ucraina piuttosto che vederla snaturarsi in un’anti Russia.

Per il potere centrale russo un’Ucraina anti russa e filo-occidentale sarebbe un’offesa bruciante, soprattutto dopo che lo stesso Vladimir Putin ha dichiarato decadente e decaduto il modello liberal-democratico europeo. Alla domanda sul perché di questa guerra, molti analisti russi reagiscono dicendo che semmai la vera domanda è perché Mosca abbia atteso così tanto.

Un pericolo per la Russia

Ora anche per i russi i piani di guerra sono cambiati: all’inizio pensavano che il 20 per cento dell’esercito ucraino sarebbe passato dalla loro parte e il 30 per cento si sarebbe arreso. Nel 2014 nel Donbass era successo qualcosa del genere ma dopo otto anni le armi e l’addestramento occidentali hanno cambiato l’esercito ucraino.

Dalla fine dell’accerchiamento di Kiev, i militari russi non avanzano più allo scoperto ma prendono villaggio dopo villaggio per allargare ad est e a sud la zona “redenta” da ciò che definiscono come l’ukronazismo, l’ultranazionalismo ucraino. C’è astio per l’influenza occidentale che ha prodotto un’ibridazione considerata artificiale tra ucraini ed europei (a iniziare in particolare coi polacchi). L’ucrainismo è – per tale visione – "una costruzione artificiale anti russa”, pericolo esistenziale per tutti i russi ma anche per gli stessi ucraini che vanno – secondo le autorità russe – “aiutati” a riappropriarsi del loro specifico culturale russo.

Il rischio del risentimento

Il cambiamento di natura della guerra è contrario agli interessi europei di lungo periodo. Ovviamente un’Ucraina aggredita, distrutta e impedita nella sua sovranità rappresenta una violazione grave del principio di autodeterminazione dei popoli e di indipendenza degli stati.

Non è possibile in alcun modo accettare una deroga a tale diritto, nemmeno con giustificazioni storiche o culturali: ammetterlo significherebbe scardinare uno dei princìpi basici della pace globale. D’altro canto anche una Russia ipoteticamente sconfitta rimarrebbe molto pericolosa per molto tempo. A differenza degli americani, gli europei ci devono convivere nel medesimo quadro continentale.

Ci sono ormai innumerevoli esempi di come nessuna sconfitta militare sia mai definitiva e quanto le “guerre del risentimento” (come le chiama Domenico Quirico) rappresentino un ciclo infernale senza fine. La strategia angloamericana è dunque incompleta e limitata per gli europei.

Uscire dalla guerra ora

La riunione di Ramstein, in cui si è suggellata la decisione già presa della guerra senza limiti, schiaccia l’Europa in una posizione impossibile: non possiamo permetterci una guerra di anni e decenni che trasformi l’Unione europea nella retrovia di un conflitto permanente.

Come giustamente sottolinea Luca Ricolfi, più la guerra perdura e più è alto il rischio nucleare, non solo dell’arma tattica ma dell’incidente catastrofico, come il bombardamento (per errore?) di una centrale. Un conflitto nel cuore dell’Europa che duri dieci anni è per Washington un rischio accettabile; non per noi europei.

L’interesse dell’Europa è che Putin fermi la guerra subito e che si costruisca un nuovo accordo di sicurezza e cooperazione sul continente. È dunque necessario discutere rapidamente in che modo uscire ora dal conflitto mediante una forte iniziativa politica europea che fermi Putin e arresti la deriva verso una guerra senza limiti.

Nel contesto di un’alleanza atlantica rafforzata dall’aggressione russa, gli americani dovranno tener conto di tali gravi preoccupazioni europee, allo scopo di cooperare a un disegno di pace e stabilità più a lungo termine.

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