Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è dedicato agli estremi confini della guerra ucraina. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Giuseppe Rao, Carolina de Stefano, Michelangelo Cocco, Cristina Kiran Piotti e altri ricercatori e studiosi analizzano le ricadute del conflitto sull’Indo-Pacifico, regione che si estende dalle coste dell’Asia orientale nell’oceano Pacifico fino alle coste occidentali dell’Africa, affacciate sull’oceano Indiano.

Le mappe curate dai cartografi Bernardo Mannucci e Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) aiutano a capire le evoluzioni globali della guerra in Ucraina in uno dei principali teatri in cui competono le grandi potenze del nostro secolo, prime tra tutti, Cina e Stati Uniti.

Cosa c’è nel nuovo numero

L’analista Giuseppe Rao spiega che fin dall’inizio dalle rivoluzioni industriali, il controllo delle tecnologie e della connettività (prima le rotte oceaniche, ora la supply chain globale) ha rappresentato l’elemento decisivo nella determinazione dell’ordine mondiale.

Ma oggi è indispensabile una strategia capace di ricostruire una nuova governance globale in grado di garantire una gestione equilibrata tra i diversi interessi nazionali, e una pace duratura, secondo l’insegnamento di Henry Kissinger.

Il politologo Mario Giro inizia la sua analisi partendo dal concetto stesso di Indo-Pacifico: l’invenzione teorica, e politica, di questo spazio si deve a indiani e giapponesi, a cui presto si sono associati americani e australiani tramite il Quad, il dialogo quadrilaterale di sicurezza iniziato nel 2007, concepito come modo per resistere al dilagante espansionismo del gigante asiatico.

La regione può quindi essere intesa non solo come mappa mentale, rotta commerciale ed energetica, ma anche come uno snodo di alleanze militari ibride e di conflitti incrociati, dove si compete da decenni per la costruzione di un nuovo assetto mondiale.

Lorenzo Termine, analista del centro studi geopolitica.info, descrive come, nel pieno della crisi ucraina, gli Stati Uniti abbiano in realtà altre priorità strategiche: alcuni documenti della Casa Bianca pubblicati lo scorso febbraio dimostrano l’urgenza nella visione strategica dell’amministrazione Biden di contenere la sfera di influenza cinese nell’Indo-Pacifico e di mantenere lo status quo asiatico, funzionale alla conservazione di un ordine internazionale che Washington ritiene non solo equo e aperto poiché basato su regole ma – e, probabilmente, anzitutto – vantaggioso per la propria sicurezza e prosperità.

A seguire, lo storico Stefano Pelaggi evidenzia come la guerra asimmetrica in Europa presenti molte analogie con lo scenario di un’invasione cinese a Taiwan. Tuttavia, pur essendo cresciute negli ultimi quattro anni le intimidazioni militari di Pechino nell’area, la Cina deve fare i conti con i sentimenti anti regime presenti nell’isola – una dinamica che complicherebbe una eventuale annessione forzata – e con i costi proibitivi di un eventuale conflitto.

L’analista Alice Dell’Era del centro studi geopolitica.info analizza la serie di iniziative bilaterali, trilaterali e mini laterali a cui i paesi dell’Indo-Pacifico hanno dato vita in risposta all’emergere della potenza cinese. Due strumenti sono emersi come centrali nell’ultimo anno: il Quad, ovvero il Dialogo di sicurezza quadrilaterale tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti, e l’Aukus, la partnership trilaterale tra Canberra, Londra e Washington. La particolarità di questi meccanismi sta nel fatto che dietro non vi è il classico modello di contenimento destinato a esercitare pressioni su Pechino, quanto un approccio di collaborazione tecnologica e intersettoriale che mira per lo più a garantire la resilienza degli attori coinvolti, senza necessariamente isolare o impedire lo sviluppo economico del gigante asiatico.

L’analista italo-indiana Cristina Kiran Piotti presenta il suo approfondimento dalla prospettiva dell’India, la più grande democrazia del mondo a cui tutto il mondo ha guardato dopo l’interruzione delle forniture alimentari dall’Ucraina, essendo l’India seconda nazione produttrice di grano globale. Il paese continua ad attirare l’attenzione dell’occidente e ambisce ad affermarsi come stakeholder disposto a plasmare l’ordine globale in modo produttivo, ma la sua sicurezza dipende ancora da armamenti e petrolio russi: possiamo dunque attendere da parte indiana nuovi accordi su sostenibilità, salute e tecnologie, ma non che Nuova Delhi smuova la propria manifesta posizione di neutralità rispetto alla Russia e alla guerra in Ucraina.

Francesca De Benedetti ha poi intervistato per Domani il politologo Ivan Krastev, presidente del Centre for Liberal Strategies, cofondatore dello European Council on Foreign Relations e autore di numerosi saggi, tra i quali After Europe e In Mistrust We Trust. Oltre a offrire la sua analisi sulle reali prospettive di pace, Krastev spiega perché la guerra in Ucraina è anche questione di opinione pubblica: la polarizzazione tra pace e giustizia riconfigurerà l’intero quadro politico, e porterà alla nascita di nuovi partiti. Draghi si trova già nel campo della giustizia, assieme al Pis polacco e ai Verdi tedeschi, ma le tensioni si esacerberanno in autunno. Secondo il politologo la guerra in Ucraina è una crisi trasformativa per l’Europa.

L’analista politico del centro studi sulla Cina contemporanea Michelangelo Cocco spiega a seguire perché, alla luce del continuo rafforzamento delle relazioni con la Russia culminato nella Dichiarazione congiunta firmata il 4 febbraio scorso, Xi Jinping ha puntato sul cavallo sbagliato: la guerra in Ucraina sta infatti mettendo a repentaglio gli interessi cinesi nell’Europa centro-orientale, e la quasi-alleanza con un Putin che rischia di essere sconfitto e isolato può rivelarsi un boomerang per Xi. Pechino non farà mosse azzardate ma, con la campagna militare che volge al peggio, dovrà favorire un negoziato con l’occidente.

(Greg Baker/Pool Photo via AP, File)

Simone Dossi, ricercatore in Scienza politica presso l’Università Statale di Milano, descrive come i mari dell’Asia orientale rappresentino la faglia di più immediato attrito fra Cina e Stati Uniti – e, si potrebbe dire, dello scontro del nostro secolo – poiché entrambe le potenze detengono in questa regione interessi cruciali. Se queste sembrano acque lontane dal teatro europeo sconvolto dalla guerra in Ucraina, tuttavia i dilemmi in corso in Asia riguardano anche noi europei, soprattutto in una fase in cui, con il multilateralismo ritrovato dell’amministrazione Biden, più pressanti si fanno le richieste americane di un ruolo attivo degli alleati europei nell’Asia orientale marittima.

Marco Zappa, ricercatore in Studi sul Giappone presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, tratta della questione delle Isole Curili meridionali e del conflitto irrisolto tra Russia e Giappone: occupate nell’agosto del 1945 dalle truppe sovietiche e note in Giappone come territori del Nord (hoppō ryōdo), questo gruppo di isole – Habomai, Kunashir, Shikotan e Iturup – è al centro della guerra mai terminata, ma solo congelata nel 1956, tra Mosca e Tokyo. L’invasione russa in Ucraina ha riacuito le tensioni, innescando una fase di iperattivismo diplomatico del primo ministro giapponese Fumio Kishida, che da marzo a oggi ha approvato una serie di sanzioni economiche contro centinaia di individui e banche russe.

L’analista Alessandro Vesprini del centro studi geopolitica.info ci guida invece in Corea del Sud, spiegando perché Seul è il termometro con cui misurare la temperatura dell’Asia. Dai microchip all’idrogeno, il paese mostra infatti da decenni un’economia dinamica e una crescita senza precedenti, dalla vocazione multilaterale. Schiacciato da vicini pesanti, condizionato da un passato tormentato e dall’ambizione di emergere come attore centrale nella regione, è la potenza che senz’altro anticiperà le tendenze politiche dell’area.

A seguire, secondo l’analista Francesco Buscemi gli scontri etnici in Myanmar mostrano il futuro della guerra: i dissidenti di uno stato segnato da cronica instabilità hanno spesso trovato rifugio e protezione nei territori di confine, sotto l’influenza di minoranze etniche armate. Il paese del del sud est asiatico si pone quindi come una finestra sull’evoluzione dei conflitti globali.

Viene poi presentato un estratto dal libro di James Stavridis ed Elliot Ackerman 2034, edito nella sua versione italiana da Sem e tradotto da Anita Taroni e Stefano Travagli (2021). Nel romanzo un blackout a Washington mette in ginocchio gli Stati Uniti, jet militari scompaiono dai radar e un peschereccio cinese con materiali misteriosi nella stiva viene fermato. 2034 è una rielaborazione di fatti reali che, miscelata con l’esperienza maturata dagli autori in anni di lavoro ai più alti livelli della sicurezza nazionale, dipinge uno scenario oscuro ma possibile: l’inizio di un nuovo conflitto mondiale.

La ricercatrice e docente di Storia e politica russa all’Università Luiss Guido Carli, Carolina de Stefano, analizza in seguito l’ascesa e la crisi del putinismo elaborato da Vladislav Surkov: il teorico della “democrazia sovrana” è in tensione con Putin da tempo e ora è (forse) agli arresti domiciliari, ma l’impianto ideologico ibrido che ha costruito nei decenni era in realtà congegnato per sopravvivere al tiranno.

Infine, l’analista Andrea Carteny approfondisce le radici dell’identità ucraina: l’appartenenza ucraina nasce con l’irrisolta questione nazionale russa. L’humus multiculturale della regione ha dato vita a una patria multiforme che Mosca non smetterà mai di voler assimilare. Oppure di distruggere. Kiev si propone come irriducibile contraltare di indipendenza anche nell’ultimo ambito di influenza russa, quello religioso e spirituale.

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