Se c’è una guerra quasi sconosciuta a gran parte dell’opinione pubblica è quella dello Yemen che pure dura dal 2014 e ha fatto numerosissime vittime. Lo scontro è tra il governo riconosciuto a livello internazionale e i ribelli huti il cui nome viene dal loro leader, Hussein al Huti, ma si tratta in realtà della minoranza zaidita, una delle denominazioni dello sciismo islamico. I zaiditi da sempre lamentano di essere esclusi dalla gestione del potere in Yemen e nel corso del tempo si sono avvicinati all’Iran che oggi li sostiene apertamente. In reazione, il governo legale è supportato dall’Arabia Saudita. Le prime rivolte zaidite datano il 2004 ma in anni recenti il conflitto yemenita è passato da contesa interna a conflagrazione internazionale nel quadro del più vasto contrasto tra Iran e Arabia Saudita.

L’allargamento del conflitto

La guerra inizia con l’insurrezione Huti i quali tra il luglio 2014 e il marzo 2015 compiono una spettacolare avanzata occupando la capitale Sanaa.

Il governo è costretto a rifugiarsi ad Aden, il capoluogo del sud. Il 2015 è anche l’anno dell’intervento a sostegno del governo di Arabia Saudita e degli Emirati che fa compiere al conflitto una violenta escalation.

Gli huti sono costretti a ritirarsi dopo essere giunti a pochi chilometri da Aden. La situazione vede il paese spaccato con i combattimenti in stallo mentre, a metà 2016, iniziano i primi tentativi diplomatici di mediazione.

Il fallimento dei negoziati condotti dall’Onu porta alla ripresa della guerra nel 2017 con continui spostamenti del fronte e numerosi bombardamenti il cui prezzo è pagato dai civili.

Intanto a sud il governo lealista si trova a dover affrontare un’altra sfida: quella dei secessionisti del Consiglio di transizione del sud, tra i quali molti dirigenti del paese che non hanno mai accettato l’unificazione del 1990 tra Sanaa e Aden. A cavallo del biennio 2017-2018 i secessionisti riescono a prendere il controllo di Aden.

Al governo non rimane che rifugiarsi a Marib, la terza città del paese. Intanto nel 2017 la coalizione lealista è costretta anche a battersi contro al Qaeda che, approfittando della guerra, ha occupato varie aree in particolare nella regione dello Yemen orientale.

Con l’aiuto dei suoi alleati tra il 2018 e il 2019 il governo cerca di recuperare il porto strategico di Hodeida sul Mar Rosso, davanti all’Eritrea.

In quell’occasione gli Emirati ottengono da Asmara il permesso di trasformare il quasi dirimpettaio porto di Assab in una base militare. L’attacco non riesce e Hodeida rimane in mano Huti fino a oggi.

L’ultima città

In reazione questi ultimi occupano Taez nel 2020 e rivolgono la loro offensiva verso Marib dove il conflitto si sta ora concentrando. Si tratta dell’ultima grande città rimasta nelle mani delle forze fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi che mantiene l’appoggio dell’Arabia Saudita mentre gli Emirati sembrano defilarsi.

In questi ultimi due mesi attorno alla città la battaglia si svolge crudele e senza sosta.

Guerra di posizione

Si tratta di una guerra di posizione con massacri quasi quotidiani: il centro città è controllato dai governativi ma viene assediato da tre lati dai ribelli. Artiglieria e razzi sparati dagli Huti da un lato; bombardamenti aerei dei sauditi dall’altro.

I vari tentativi di mediazione per ora non hanno avuto alcun successo.

Per le due parti che si affrontano quella di Marib è la madre di tutte le battaglie e potrebbe significare la svolta definitiva della guerra.

Da febbraio la milizia filo-iraniana ha lanciato un’ennesima offensiva per espellere dalla città le forze fedeli al presidente.

Per capirne l’importanza strategica occorre precisare che Marib produce quasi il 90 per cento del gas liquefatto del paese: se cade in mano Huti costoro avranno ottenuto una vittoria strategica e potranno giungere a futuri eventuali negoziati in posizione di forza.

Se al contrario la città resiste, la parte filo-Hadi manterrebbe il suo ultimo baluardo e potrebbe sedersi al tavolo con qualcosa da rappresentare nei confronti sia dei filo-iraniani che dei secessionisti del sud.

Durante l’ultimo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite il disastro umanitario dello Yemen è emerso in tutta la sua drammaticità: con il conflitto sono stati persi più di due decenni di sviluppo. La guerra si conferma il male peggiore.

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