Il governo di Haiti ha chiesto l’intervento dell’esercito degli Stati Uniti per proteggere le infrastrutture strategiche, dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, avvenuto all’una di notte tra il 6 e il 7 luglio scorso nella sua abitazione. Lo ha annunciato il ministro delle Elezioni, Mathias Pierre. La richiesta è avvenuta durante una conversazione tra il primo ministro ad interim Claude Joseph e il segretario di Stato dell’amministrazione Biden, Antony Blinken. Haiti ha chiesto un intervento anche al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Il New York Times riporta che il sostegno militare avrebbe l’obiettivo di proteggere il porto, l’aeroporto, gli impianti di carburante e altre infrastrutture strategiche, mentre il paese tenta di mantenere una stabilità per preparare il terreno alle prossime elezioni legislative e presidenziali, previste per il 26 settembre prossimo. «Abbiamo assolutamente bisogno di assistenza», ha detto Joseph ad Associated Press, «abbiamo chiesto un sostegno ai nostri partner internazionali e crediamo che possano assistere la polizia haitiana per risolvere la situazione».

Le risposte

Un alto funzionario dell’amministrazione americana ha dichiarato che «non ci sono piani di inviare le truppe in questa fase», ma verranno inviati ufficiali dell’Fbi e del dipartimento per la sicurezza interna per offrire un aiuto nelle indagini. «Ci accertiamo di inviare risorse, in termini di donne e uomini, ma anche risorse economiche», ha affermato il portavoce della Casa bianca Jen Psaki.

José Luis Díaz, portavoce del dipartimento per gli affari politici e di peacebuilding dell’Onu, ha specificato che la lettera ricevuta dalla missione delle Nazioni Unite di Haiti è stata presa in esame e che la decisione di inviare truppe internazionali sotto l’egida dell’Onu è materia di competenza dei 15 paesi del consiglio di sicurezza.

L’assassinio

Il presidente 53enne è stato ucciso durante la notte in casa sua, nel quartiere di Pétionville nella capitale Port-au-Prince, da una banda armata. Moïse è morto sul colpo, mentre la moglie è stata ferita gravemente e trasportata in Florida, in condizioni critiche ma stabili. Sono stati trovati dodici proiettili nel corpo del presidente, riferiscono le autorità. La polizia di Haiti ha poi reso noto che la banda che ha assassinato il presidente era formata da 28 mercenari stranieri.

A seguito di uno scontro armato con la polizia nella capitale sono stati uccisi tre sospettati, 17 sono stati arrestati e 8 sono a piede libero. Tra questi, secondo il governo di Haiti, ci sarebbero 26 colombiani e due cittadini statunitensi di origine haitiana.

I due cittadini americani hanno detto agli investigatori che avevano risposto a un’offerta di lavoro come interpreti e non erano a conoscenza dei piani. «Non avevano l’incarico di uccidere il presidente. Quando hanno realizzato che la situazione era cambiata, si sono consegnati alla polizia», ha riferito ai media locali Clément Noël, giudice istruttore.

Non è ancora chiaro chi abbia organizzato l’attacco e quali i motivi dell’assassinio. Moïse è stato fortemente criticato fin dall’inizio del suo mandato. Dal 2017 infatti si sono diffuse proteste in tutto il paese contro la sua presidenza: prima contro la corruzione e la gestione dell’economia, poi contro un graduale accentramento del potere. Parte dell’opposizione e della società civile non lo riconosceva più come presidente, contestando la durata della carica.

La Colombia intanto ha offerto il suo supporto alle indagini. Il quotidiano colombiano El Tiempo, dopo aver consultato documenti riservati, ha ricostruito il percorso di quattro mercenari, che dalla Colombia si sarebbero recati nella Repubblica dominicana il 4 luglio scorso. Avrebbero poi attraversato il confine, via terra, due giorni dopo.

Instabilità

La situazione nel paese è molto tesa. L’assassinio è avvenuto dopo l’uccisione di diverse persone a Port-au-Prince, tra cui il giornalista Diego Charles e l’attivista per i diritti umani Antoinette Duclair, e dopo mesi di violenze di bande, paragonate a una guerra civile non dichiarata.

All’instabilità sociale si è aggiunta l’instabilità politica: il parlamento è stato sospeso da molto tempo e la morte di Moïse ha portato a uno scontro su chi ricoprirà la carica di presidente. La costituzione prevede che sia il parlamento a nominare un altro presidente, ma, poiché non si erano tenute le elezioni previste per l’ottobre 2019, Moïse governava sulla base di un decreto, una condizione che aveva provocato numerose proteste.

Una proposta di emendamento della Costituzione, molto discussa, prevede che spetterebbe al primo ministro assumere la carica di presidente. Ma i primi ministri che sostengono di essere in carica sono due: Claude Joseph, ad interim, e Ariel Henry, nominato dallo stesso Moïse poco prima dell’assassinio. Ieri, un gruppo di partiti politici ha nominato un nuovo presidente, Joseph Lambert, in carica a fianco di Henry come premier.

«Non c’è nessuna disposizione costituzionale che regoli questa situazione eccezionale», ha commentato André Michel, esponente dell’opposizione del paese.

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