Nella Striscia nuove bande saccheggiano e minacciano i civili. Sull’onda della fame e del caos degli aiuti umanitari. Le testimonianze: «Da delinquenti comuni, in pochi giorni appaiono organizzati, con armi nuove e pure divise militari»
«Ho salvato poche cose, non è rimasto granché nella scatola. Non so quanto è valsa la fatica». Sconsolata, Hanan Khalifa, 28 anni, è tornata alla sua tenda a Khan Younis con un pacco di farina da 2 chilogrammi, alcune lattine di fagioli e un pezzettino di formaggio. Non un granché per sfamare la sua famiglia.
«Non basterà a lungo e dovremo riprendere a digiunare, o rischiare la vita in cerca di cibo». Da quando la Ghf, la Gaza Humanitarian Foundation, ha chiuso i magazzini per la distribuzione del cibo, c’è solo un modo per procurarsi da mangiare e cioè contattare qualcuno dei banditi che hanno razziato i camion degli aiuti e hanno fatto scorte di provviste da vendere a caro prezzo.
«La Striscia è nel caos più totale – spiega il giornalista Hassan Isdodi – perché Hamas ha perso il controllo e bande armate hanno iniziato a spadroneggiare. Saccheggiano, taglieggiano, minacciano. Nessuno è al sicuro».
La tratta dei viveri
La notizia che c’è chi può procurarti un cartone pieno di viveri è iniziata a diffondersi già da qualche giorno, da quando sono comparse su Facebook delle pagine in cui si denigrano Hamas e le altre organizzazioni e si pubblicizza, invece, la possibilità di ottenere dei pacchi di viveri. E così, Hanan, con un marito ferito da una scheggia di bomba e due bambini affamati, ha letto l’indirizzo da raggiungere e ha deciso di rischiare.
«Ho sentito il peso della disperazione – racconta Hanan - Il viaggio prevedeva di camminare per sette chilometri attraverso un'area piena di barriere di sabbia. Ho dovuto salire e scendere da queste piccole dune aggirando le macerie solo per raggiungere il punto indicato. Temevo fosse una trappola, che non avrei ottenuto nulla. E quando, invece, ho visto un uomo con uno scatolone in mano ho sentito un gran sollievo».
Insieme a lei, in quell’antro ricavato dallo squarcio di un palazzo, ci sono altre persone che aspettano del cibo. «Abbiamo capito chi c’era dietro, sapevamo che sarebbe costata… ma l’alternativa non c’è», dice Abdallah Saher che, infatti, ha consegnato nelle mani del venditore 400 shekel, l’equivalente di 100 euro, donati da parenti all’estero. Anche Hanan ha pagato, ma molto meno e infatti il suo cartone è molto più piccolo.
«Il problema è che subito dopo si è scatenato il caos», spiega la donna. La disperazione ha reso i gazawi aggressivi, impazienti e poco lucidi, per cui in pochi attimi a decine si sono buttati sulle scatole piene di cibo, per cercare di acchiappare qualcosa. «Ho iniziato a correre stringendo forte il pacco mentre gli uomini che vendevano i cartoni hanno sparato in aria. Mentre scappavo mi hanno preso molte cose, poi, per fortuna, ho trovato un vecchio su un carro e gli ho chiesto aiuto in cambio di un chilo di zucchero. È grazie a lui se sono tornata alla mia tenda».
Almeno nell’immediato, Hanan non andrà più a comprare cibo dagli emissari della gang di Gaza, ma molti altri, invece, lo stanno facendo.
«Queste bande armate sono formate da persone che non fanno parte di alcuna organizzazione - spiega il giornalista Hassan Isdodi - Sono dei tagliagole e ora che Hamas è allo sbando hanno preso il controllo della situazione. Non hanno regole, attaccano anche noi giornalisti. La mia collega Besan è stata assalita in auto da tre uomini incappucciati e armati di fucile che hanno tenuto in ostaggio i suoi passeggeri, intanto che lei consegnava tutto: per fortuna è riuscita a nascondere il telefono, però la telecamera e il resto lo hanno rubato».
Come se per i giornalisti di Gaza non fosse già difficilissimo continuare a raccontare l’assedio, con il mirino delle bombe israeliane sempre addosso. Negli ultimi giorni ne sono morti altri tre in una tenda ben contrassegnata dalla parola “Press” quando l’Idf ha compiuto un raid sull’ospedale Battista di Gaza City.
Il ruolo dell’Idf
«Pensiamo che l’Idf aiuti questa gang – dice la giornalista Noord Shirzada – perché opera soprattutto nella zona di Rafah, che è controllata dall’esercito israeliano. È impossibile che abbiano potuto saccheggiare e taglieggiare quando i droni seguono ogni nostro movimento. Il sospetto è che li lascino fare, per aumentare il caos. Come tutti quanti hanno, ormai, capito che anche l’organizzazione della distribuzione del cibo era pensata per favorire i disordini. Esercito e contractors hanno ucciso centinaia di persone: hanno acceso la miccia e ora lasciano che ci distruggiamo tra noi».
Secondo i giornalisti di Gaza questa gang sarebbe guidata da un noto delinquente di Rafah, Yasser Abu Shabab, che avrebbe già soprannominato il gruppo “rete antiterrorismo”. «Da delinquenti comuni, in pochi giorni sono diventati organizzati, con armi nuove e pure delle divise. È evidente che c’è qualcuno dietro che li ha finanziati e che li sta manovrando», dice il cronista Isdodi. Sulla pagina Facebook del presunto capo di questa nuova milizia compaiono video in cui un centinaio di uomini col passamontagna assaltano camion, fermano membri della Croce Rossa internazionale e poi c’è un messaggio che invita i gazawi a ritornare nell’area di Rafah con tanto di numero di telefono da contattare per «coordinare il rimpatrio».
«Poiché non sono riusciti a imprigionare la popolazione attirandola con il cibo – dice Noor Shirzada – stanno utilizzando un’altra esca, palestinese e anti Hamas, o così dice». Sempre sulla sua pagina Facebook, il 27 maggio scorso Abu Shabab scriveva: «Accogliamo con favore qualsiasi onesto sforzo internazionale per fornire aiuti al nostro popolo». E ancora. «Non ci opponiamo agli aiuti, ci rifiutiamo di politicizzarli».
Una nuova milizia
Sembra, dunque, che la nuova milizia stia cercando di soppiantare Hamas lavorando con l’Idf proprio per poter prendere il potere sulla Striscia. Sarebbe stato, infatti, proprio l’esercito israeliano a concedere alla gang uno spazio per costruire una tendopoli di ben altro pregio rispetto a quelle povere e malconce di al-Mawasi. «Siamo riusciti a recuperare delle mappe e abbiamo visto che hanno costruito una ventina di tende tra il corridoio di Morag e il corridoio Philadelphi, a meno di 10 chilometri dal valico di Kerem Shalom», spiega Isdodi. «È lì che stanno cercando di attirare la popolazione, garantendo cibo e sicurezza». Intanto, l’Idf ha emesso ordini di evacuazione nell’81 per cento della Striscia, mentre nessuna delle organizzazioni umanitarie riesce a lavorare nella distribuzione degli aiuti. Mentre la nuova milizia invita a spostarsi, gruppi di cittadini stanno distribuendo volantini per invitare la popolazione a non unirsi alle gang di Rafah.
Al momento, comunque tra i raid e la fame, la popolazione di Gaza non si muove, se non strettamente necessario. Anche perché le temperature cominciano a salire e nelle tende la calura diventa insopportabile. Senza risorse idriche, poi, nemmeno il sollievo di un bicchier d’acqua può lenire la sofferenza. Le labbra sono secche e incollate, gli occhi incrostati, la pelle che tira, prude e si squama a ogni carezza. Rispetto all’anno scorso, questa estate che comincia sarà ancora peggiore.
«Non si dice mai, ma le infezioni genitali sono aumentate», racconta Lubna Aziz, dottoressa specializzata in pediatria e allattamento. «Le donne non hanno assorbenti, non possono lavarsi e malattie lievi si stanno trasformando in patologie più serie. Per non parlare degli aborti spontanei e delle setticemie legate all’impossibilità di fare raschiamenti. A Gaza si muore solo e non si nasce più». Anche questa è una forma di sterminio.
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