La Corte di Hong Kong ha dichiarato costituzionale il divieto di indossare le mascherine durante le manifestazioni nella regione. La sentenza è una vittoria per il governo filo cinese della governatrice Carrie Lam che aveva introdotto il divieto l’anno scorso con l’obiettivo di poter identificare più facilmente i manifestanti pro democrazia che dal luglio del 2019 animano le proteste contro l’influenza di Pechino sulla regione.

Il paradosso britannico

Per vietare l’uso delle maschere, Lam aveva invocato una legge del 1922 approvata dai coloni britannici all’epoca al potere nella regione. Si tratta di un paradosso se si pensa che molti dei difensori dell’aumento del potere di Pechino su Hong Kong invocano proprio la fine definitiva della colonizzazione occidentale come giustificazione alle violenze repressive del regime comunista. In un primo momento, un tribunale ordinario aveva bloccato il divieto facendo così sperare gli attivisti pro democrazia che interpretano la legge come l’ennesimo tentativo di repressione nei confronti delle loro proteste. Secondo i manifestanti, il divieto sarebbe anche in contrasto con la mini costituzione della regione. Ma la sentenza odierna ha ribaltato il risultato aggiungendo inoltre, che il governo filo cinese ha il diritto di implementare qualsiasi legge in un periodo di “emergenza pubblica”.

La repressione avanza

La sentenza della Corte superiore di Hong Kong rientra nelle azioni sempre più repressive del regime filo cinese di Hong Kong. Questo mese, l’editore di uno dei principali giornali pro democrazia, Jimmy Lai, è stato incriminato per avere infranto la legge sulla sicurezza nazionale che punisce duramente chi mette in discussione l’autorità di Pechino sull’isola. Inoltre un tribunale ha condannato a pene fino ai tredici mesi tre dei principali attivisti delle proteste, Joshua Wong, Ivan Lam e Agnes Chow. La repressione è entrata anche nel parlamento della regione quando quattro membri dell’opposizione al regime cinese sono stati espulsi sempre grazie alla legge sulla sicurezza nazionale. La decisione ha scatenato la dura reazione del resto dei parlamentari anti cinesi che si sono dimessi in massa.

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