Dopo Cutro, in uno scambio di lettere avuto con Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sostenuto il dovere morale di evitare che simili tragedie si ripetano. A questo fine ha prospettato un’impostazione della questione migranti attorno «a tre priorità: cooperare con i paesi del Nord Africa per evitare le partenze irregolari, sviluppare corridoi umanitari sicuri e aumentare il coordinamento per le attività di Search&Rescue», rendendo noto che l’Unione europea intende stanziare nei prossimi tre anni 500 milioni di euro per il reinsediamento in Europa, attraverso corridoi umanitari, di circa 50mila persone.

Successivamente, il 23 marzo, von der Leyen ha dichiarato al vertice Ue a Bruxelles: «Dobbiamo incrementare il numero di ingressi regolari di lavoratori dai paesi terzi. Tengo a menzionare a questo riguardo l’esperienza estremamente positiva dell’Italia con i corridoi umanitari». Cosa sono i corridoi umanitari, o meglio cos’è il modello italiano di corridoi umanitari?

Cosa sono i corridoi umanitari

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Le parole della presidente della Commissione europea costituiscono un allargamento del concetto di corridoi umanitari, da lei intesi come rivolti non solo a profughi e rifugiati vulnerabili ma in generale a migranti visti come manodopera lavorativa.

Ciò che von der Leyen sembra maggiormente apprezzare dei corridoi umanitari è il carattere legale e sicuro dell’approdo in Europa dei beneficiari, sottratti ai trafficanti di esseri umani, nonché lo strumento della sponsorship privata, da parte di volonterosi della società civile, delle persone da introdurre in Europa.

I corridoi umanitari sono uno strumento di ingresso legale in Europa offerto a persone vulnerabili, in fuga da guerre, persecuzioni, fame. Salvano soprattutto famiglie con bambini, soggetti con disabilità, donne sole, anziani e malati.

Si parla spesso di corridoi umanitari, in Italia e in Europa. Rappresentano una grande speranza malgrado la sproporzione numerica tra i beneficiari e quanti languono in lunghi esodi tra mari, montagne e deserti. Non sono un lasciapassare per chiunque, si rivolgono a persone bisognose di protezione internazionale, ma poiché debolezza e patimento sono la realtà di pressoché tutti i profughi e i migranti, i corridoi hanno un significato universale. Un po’ come la Croce Rossa.

Realtà e aspettative

I loro promotori sono sommersi di richieste, appelli, suppliche. In un mondo cinico, l’umanitario suscita aspettative immense. Promossi dalla società civile con l’appoggio dello stato, i corridoi sottraggono persone sradicate ai trafficanti delle rotte illegali, ai barconi di fortuna delle traversate mediterranee, alle violenze delle rotte balcaniche, ai soprusi dei paesi canaglia e ai rovinosi rimpatri forzati.

Nella forma sperimentata soprattutto in Italia, i corridoi umanitari hanno la caratteristica d’integrare efficacemente i beneficiari nelle comunità locali d’approdo, in un processo di sponsorship e di autofinanziamento focalizzato sulla società civile.

Un loro modello è delineato. Fa riferimento alla libera iniziativa privata, alla scelta dei beneficiari connessa a una sponsorship, alla leale collaborazione con gli stati nelle procedure di sicurezza e nella valorizzazione degli strumenti offerti dal diritto. I corridoi vengono realizzati sulla base di protocolli d’intesa con i governi, e non potrebbe essere diversamente: riguardano la sovranità delle nazioni, hanno ricadute pubbliche, sono giuridicamente complessi.

Oltre i numeri

Quale impatto hanno i corridoi? Per questa via sono giunte in Italia, Francia, Belgio, dall’avvio nel 2016 al 2021, 6mila persone classificate come vulnerabili, i cui diritti umani erano violati o stavano per esserlo. Poche o molte? Dipende dai punti di vista.

Altri schemi di ammissione umanitaria legale in Europa (i cosiddetti resettlement) contabilizzano numeri al cui confronto quelli dei corridoi non sfigurano. Se la Germania, tra 2016 e 2021, opera ammissioni umanitarie per 14.030 persone, la Spagna ne totalizza 2.695, la Croazia 250, e Cipro, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nessuno.

Certo, a fronte del bisogno umanitario globale, le cifre dei corridoi esprimono una tiepida mitigazione di un’enorme tragedia. Nel 2022 le “persone in fuga nel mondo”, secondo l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, erano oltre 102 milioni. Tuttavia, i corridoi sono emblematici.

Salvano vite. Avviano processi. Sono segno di chance in un mondo pervaso da indifferenza. E comunque non sollevano gli stati dalle loro incombenze. Di regola, i governi assumono internazionalmente impegni di reinsediamento di profughi che vanno rispettati a prescindere dall’esistenza o meno di altre forme di ammissione umanitaria. I corridoi sono addizionali ai reinsediamenti operati dagli stati, non sostitutivi.

Sponsorizzare

I corridoi, la cui esilità numerica è relativa visto che sono molto del poco che si fa, rappresentano un protagonismo positivo della società civile che a sue spese li promuove e attraverso di essi modifica in meglio la mentalità.

Sono proprio mobilitazioni come quelle dei corridoi, che impegnano decine di migliaia di cittadini nell’ospitare e integrare, a cambiare la cultura e a modificare gli ordinamenti. Un esempio viene dal Canada che da quasi mezzo secolo prevede un’immigrazione fondata sulla sponsorship da parte della società civile. In questo paese, nientemeno che un quinto della popolazione è coinvolto nella sponsorizzazione migratoria.

Parte dell’umanità

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L’Europa è un continente che dell’umanitario fa uno dei suoi punti di forza, e questo filtra anche nelle sue leggi, a saperle leggere. Proprio scovando norme favorevoli nella legislazione europea, non applicate in precedenza, i corridoi hanno potuto essere realizzati.

La collaborazione fra la Comunità di sant’Egidio, la Tavola valdese e la Federazione delle chiese evangeliche in Italia marca l’origine dei corridoi, concepiti nel 2015. Il contesto in cui nascono è quello dei fenomeni migratori degli anni Dieci.

C’è però un’origine di lungo corso dei corridoi che vengono da scambi, frequentazioni, sensori mediterranei, dall’esperienza del vicino Levante con le sue società plurali, le sue convivenze tra popoli diversi, e purtroppo le sue guerre. Se si conoscono i contesti di origine, allora migranti, profughi, rifugiati non sono più cifra statistica, faccenda politica, immagine di telegiornale, ma parte dell’umanità.

Profughi di serie B

La crisi bellica ucraina esplosa nel febbraio 2022 con l’invasione russa ha prodotto in Europa masse di profughi. Al momento di licenziare queste pagine sono milioni, generosamente accolti dai paesi dell’Unione europea.

I promotori dei corridoi umanitari affiancano l’aiuto ai nuovi sfollati europei a quello per i beneficiari dei corridoi stessi. La capacità di accoglienza della società civile, coltivata dai corridoi umanitari, si estende ai profughi dall’Ucraina. Tornano utili le pratiche virtuose dei corridoi, come la flessibilità operativa, la capacità di scorgere le vulnerabilità, l’arte di integrare in maniera familiare.

Purtroppo, per molte altre persone in fuga dalla guerra, l’Europa rimane impenetrabile e inospitale. Un’artista cosmopolita come Noa lo spiega senza giri di parole: «Dobbiamo ricordarci che non c’è soltanto la tragedia ucraina: ci sono l’Afghanistan, la Siria, lo Yemen; nel nord dell’Etiopia il genocidio sta proseguendo. Ci sono altre guerre in Africa, ma si tratta di neri e la gente è meno sensibile. Tristissimo».

Per sua parte, la società civile che apre le porte agli ucraini non distingue tra profughi dall’est Europa e profughi da Afghanistan, Siria, Eritrea o altri paesi invivibili. Non ci sono profughi di prima e di seconda classe, profughi accostabili alla nostra esperienza esistenziale e profughi che non lo sono: tutti soffrono, tutti meritano protezione e accoglienza, tutti sfidano la generosità personale e collettiva.

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