I sondaggi indicano stabilmente che in America la maggioranza degli elettori conservatori vorrebbe ancora Donald Trump alla guida del Partito repubblicano. Ma c’è un soggetto politico che sente la nostalgia di Trump anche più acutamente del suo elettorato naturale: il Partito democratico.

Ovviamente si tratta di un sentimento inammissibile, un retropensiero che non si può esplicitare, ma a volte la pressione delle circostanze è tale che il desiderio di un diavolo che possa ricompattare le schiere angeliche sfilacciate finisce per essere verbalizzato. È il caso di Gavin Newsom, governatore della California che oggi affronta una elezione “recall”, rara procedura di appello popolare a cui si ricorre per disarcionare o riconfermare un amministratore in carica.

Il governatore democratico gode formalmente del sostegno di tutto il partito, ma ha il problema di una base elettorale che non è aizzata e spaventata quanto lo era sotto la minaccia incombente dell’autoritarismo con il ciuffo biondo, e dunque ha organizzato la strategia di difesa del proprio scranno sull’amplificazione della paura del ritorno delle forze trumpiane. 

«Il trumpismo è ancora vivo in tutto il paese», ha detto l’altro giorno in un comizio a un gruppo di attivisti afroamericani di East Los Angeles, che poi sono andati a passare il messaggio nel porta a porta. Da mesi Newsom insiste sul fatto che la raccolta delle firme per l’elezione è stata sapientemente orchestrata dalla macchina del consenso di Trump, e dunque tutta l’operazione ha le fattezze del colpo di mano politico, non di una composita iniziativa popolare in cui confluiscono legittime ragioni di malcontento.

Durante l’estate i promotori della petizione elettorale hanno anche presentato un ricorso perché nel materiale informativo sull’elezione il governatore ha descritto la manovra come un tentativo di «assalto al potere» da parte di «repubblicani e sostenitori di Trump». Il tribunale ha dato ragione a Newsom, specificando però che la sottolineatura del ruolo di Trump «potrebbe essere un’esagerazione», tuttavia ammissibile nell’ambito della normale dialettica elettorale.

Trump, dal canto suo, rimane fedele allo spartito: ha preventivamente dichiarato che le elezioni sono truccate, evocando il solito florilegio di complotti che vanno dai brogli elettorali in vecchio stile a sofisticati schemi di corruzione che coinvolgono gli impiegati delle poste che manomettono il voto per corrispondenza.

Paradossalmente, l’attivismo cospirazionista dell’ex presidente offre ai democratici proprio il nemico terrificante di cui hanno bisogno. Le elezioni della California sono la prima prova generale della tenuta di un partito alle prese con  laceranti battaglie interne e bassa capacità di mobilitazione. Il presidente, Joe Biden, subisce lo scontro al Congresso fra centristi e progressisti che rischia di mutilare il suo epocale progetto di riforma del welfare da 3.500 miliardi di dollari, riducendolo a una manovra poco più che ordinaria. 

La modalità scomposta e umiliante con cui la Casa Bianca ha gestito il ritiro dall’Afghanistan ha lasciato perplessi (eufemismo) anche quelli che condividono in linea di principio la decisione e il risultato delle difficoltà è un calo del tasso di popolarità, che si somma alla tendenza fisiologica dei presidenti in carica una volta finita la luna di miele. La media dei sondaggi di RealClearPolitics indica che il 50 per cento degli elettori disapprova l’operato del presidente, contro il 45 che invece lo sostiene.

I democratici sono convinti che nel feudo della California il governatore sarà confermato, e la visita di Biden nel sud dello stato programmata per lunedì è una conferma dell’indice di fiducia. Dopo questa tornata ci sono però altre due elezioni locali da osservare per misurare la temperatura dell’elettorato democratico orfano del gran nemico.

Venerdì si apre il voto anticipato via posta per l’elezione del governatore in Virginia, che si terrà il 2 novembre. Lo stesso giorno si voterà anche in New Jersey, dove per la prima volta sarà possibile esprimere la preferenza per corrispondenza a partire dalla seconda metà di ottobre. Si tratta di stati più complicati per i democratici e gli strateghi elettorali sono preoccupati dalle capacità del partito di motivare gli elettori senza poter agitare la presenza spaventosa e pressante di Trump, il nemico che farebbe comodo ancora al centro della scena. 

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