Quanto può reggere il sostegno massiccio europeo in armi e finanziamenti all’Ucraina? E soprattutto quanto potrà resistere la Ue se il suo sostegno dovesse convivere con alta inflazione, tassi elevati e flussi di migranti in ascesa? O addirittura con un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca? La domanda non è retorica visto che secondo il Financial Times i primi litigi sono già scoppiati tra i 27 paesi dell’Unione in vista delle rispettive leggi di Bilancio in preparazione per l’autunno che si preannuncia come sempre caldo. «I finanziamenti dell'Ue per sostenere l'Ucraina sono ostacolati da disaccordi tra gli Stati membri, con le preoccupazioni per le tensioni nei bilanci nazionali e l'aumento dei costi a Bruxelles che minacciano il flusso degli aiuti a Kiev», ha scritto il Financial Times.

A scatenare le tensioni sopite sotto il tappeto sono state le richieste di Bruxelles per un totale di 86 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi, volte ad alleggerire le tensioni sul bilancio dell'Ue e a garantire quattro anni di sostegno all'Ucraina. Le richieste aggiuntive hanno «diviso» gli stati membri e portato a chiedere riduzioni e «un calendario di approvazione più lungo», secondo le persone coinvolte nei colloqui a Bruxelles, ha riportato il quotidiano finanziario della City. Finora i negoziati sui finanziamenti sono stati complicati dal fatto che la Commissione europea guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen ha accorpato il sostegno finanziario all'Ucraina con requisiti di integrazione del bilancio dell'Ue, tra cui disposizioni per coprire i costi degli interessi sul debito e un aumento di stipendio per i funzionari dell'Ue. Molti stati membri hanno affermato che, mentre il sostegno finanziario supplementare per l'Ucraina è ragionevole, gli altri elementi del pacchetto sono il risultato di «un problema di gestione interna del bilancio dell'Ue che non merita fondi aggiuntivi».

Paesi come la Germania e i Paesi Bassi hanno guidato la resistenza, sostenendo che la stretta di bilancio nazionale dovuta all'aumento dei tassi d'interesse e alle richieste salariali dovrebbe «riflettersi anche a Bruxelles». Insomma anche Bruxelles dovrebbe tirare la cinghia. La situazione non pare possa migliorare visto che proprio i Paese Bassi andranno al voto il 22 novembre dopo le dimissioni del premier Mark Rutte, capo di una coalizione di centrodestra, paladina del rigore e di un nuovo Patto di stabilità più severo. Anche in Germania ci saranno le importanti elezioni regionali l’8 ottobre in Assia e in Baviera. E quando i paesi vanno al voto le posizioni si fanno più intransigenti soprattutto in materia di aiuti.

Il partito filorusso

A sottolineare una nuova falla sul fronte del sostegno europeo a Kiev è stato Roger Cohen sul New York Times dove ha scritto di un partito pro Putin in Europa formato da alcuni politici tra cui l’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder. Cohen ha ricordato anche che Nicolas Sarkozy, l’ex presidente francese, una volta era conosciuto come “Sarko l’americano” per il suo amore per il libero mercato, il dibattito a ruota libera ed Elvis. Negli ultimi tempi, tuttavia, è apparso più simile a “Sarko il russo”. Nelle interviste coincidenti con la pubblicazione di un libro di memorie, Nicolas Sarkozy, presidente dal 2007 al 2012, ha affermato che invertire l’annessione della Crimea da parte della Russia era “illusorio”, e ha escluso l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea o alla Nato perché deve rimanere “neutrale”, e ha insistito sul fatto che Russia e Francia “hanno bisogno l’una dell’altra. Tra le voci critiche sulla attuale posizione europea Cohen ha ricordato anche Giuseppe Conte, l’ex primo ministro italiano, che ha dichiarato recentemente che “la strategia militare non funziona”, oltre al fatto che comporta un costo finanziario devastante. In Francia, Ségolène Royal, un’eminente ex candidata socialista alla presidenza che ha denunciato le accuse ucraine sulle atrocità russe come “propaganda”, ha annunciato questa settimana che intende guidare un gruppo unito di sinistra alle elezioni del Parlamento europeo del prossimo anno.

La voce di Putin

Tutto questo mentre Mosca ha attaccato Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. La star della tv russa, Vladimir Solovyov, soprannominato "la voce di Putin" ha affermato: «Vorrei ricordare qui l'idiota Borrell, il nemico del popolo russo. Questa sarebbe una definizione assolutamente precisa di questo mascalzone, che presumibilmente ricopre la carica di quasi ministro degli Esteri dell'Ue, ma che si comporta come un ministro della guerra».
 

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