I mille fronti di Israele. «Scoppierà un nuovo conflitto con l’Iran»

Hamas è indebolita ma non smantellata, Hezbollah è in piena attività a nord del fiume Litani, gli Houthi dicono di avere il controllo del sud dello Yemen, il presidente della Siria, l’ex jihadista in cravatta Ahmed al Sharaa, dice che Israele combatte «fantasmi» nell’area contesa del Golan, e l’Iran si sta preparando per un nuovo round di ostilità dopo la guerra dei 12 giorni del giugno scorso. Dopo la lunga fase di distruzione che ha seguito il 7 ottobre 2023, non si intravede un’ipotesi di ricomposizione dei conflitti nell’area. Barricati nei tunnel: cento uomini di Hamas “bloccano” il piano Usa Occasioni perse Al contrario, gli analisti selezionati dal governo israeliano per incontrare una delegazione di giornalisti italiani in visita nel paese testimoniano in modi diversi che tutti i fronti sono ancora aperti, i nemici di Israele sono attivi e il momento favorevole per ottenere garanzie di sicurezza e impostare soluzioni diplomatiche è passato. Quello che emerge è un racconto delle occasioni perse. Innanzitutto, c’è l’Iran, il nemico esistenziale che alimenta tutti gli attori che si muovono nella regione. Il programma nucleare iraniano non è stato «obliterato», come ha ripetuto fino alla nausea Donald Trump quando ha messo in campo i missili bunker-buster, spiega un ex funzionario di alto rango del Mossad. Il consenso prevalente nella comunità di intelligence israeliana, secondo questo esperto, è che i tre siti nucleari sono stati danneggiati severamente dagli attacchi, «ma la maggior parte del materiale nucleare non è stata distrutta», quindi il regime sta lavorando per tornare al punto di prima. «Si è interrotto il dialogo con l’Agenzia internazionale dell’energia atomica per far accedere gli ispettori ai siti danneggiati e non è stato negoziato un nuovo accordo fra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare, quindi la conclusione è che ci sarà a un certo punto un altro conflitto. Gli iraniani ormai ne parlano apertamente», dice la fonte, dialogando con i cronisti in un hotel di Tel Aviv. La diplomazia è in una fase di stallo. «Sappiamo che c’è un canale aperto fra Stati Uniti e Iran», dice l’ex funzionario, «Steve Witkoff chatta su WhatsApp con la controparte di Teheran, e allo stesso tempo Mohamed bin Salman, quando è stato ricevuto da Trump alla Casa Bianca, ha proposto di avviare dialoghi diretti a Riad fra Stati Uniti e Iran», circostanza confermata anche da vari media internazionali ma che la guida suprema, Ali Khamenei, si è affrettata a smentire: «Pure bugie». Per il presidente americano, l’Iran è pronto a negoziare e lui è «totalmente aperto a questa possibilità», ma nella realtà l’amministrazione apre continuamente nuove e creative iniziative diplomatiche, ma non ne chiude nessuna. Il piano di Gaza è un caso di scuola. Una volta ottenuta la firma del cessate il fuoco e incassato il tributo globale per aver negoziato la fine della tragedia, l’amministrazione si è dedicata ad altro e i punti fondamentali del piano sono rimasti sulla carta, mentre sul campo continuano scontri a intensità variabile e gli avversari si riorganizzano. Il timore degli israeliani è che, dopo l’ammirevole acrobazia diplomatica, Trump lasci che lo scenario vada avanti da sé. Tattica che è il preludio di nuovi conflitti. La solitudine dei gazawi: «Hamas sta riprendendo il controllo della Striscia» Errore di strategia Secondo Khaled Abu Toameh, giornalista e saggista arabo-israeliano che ha lavorato a lungo per il Jerusalem Post, Hamas è ancora in piedi nella Striscia e non solo, e la sua sopravvivenza va letta come «un fallimento di Israele». Toameh sostiene che il governo ha sbagliato la strategia militare a Gaza. Si è data obiettivi sbagliati che è nemmeno riuscito a rispettare. «Il messaggio da mandare al mondo e ai palestinesi doveva essere», spiega l’analista, «che non siamo qui per ricostruire colonie o controllare le vostre scuole. Siamo qui perché siamo stati attaccati, stuprati, bruciati vivi e rapiti, e non ce ne andremo finché non avremo raggiunto i nostro obiettivi». «In questo scenario, molti civili di Gaza avrebbero indicato dove si nascondevano i terroristi e gli ostaggi», continua il giornalista. «E Hamas, chiusa nei tunnel e consapevole che Israele controlla il territorio e gli aiuti, sarebbe stata costretta a negoziare davvero, se non a capitolare». Il governo, invece, ha scelto di fare «operazioni a singhiozzo»: entrare, uscire, proclamare di aver distrutto un battaglione, per poi tornare su suoi passi perché il battaglione era ancora lì. «Non è così che si elimina un’organizzazione terroristica», dice Toameh, mentre «si consuma la pazienza della comunità internazionale senza ottenere un risultato chiaro. Due anni di guerra contro un’organizzazione tutto sommato piccola e il suo regime esiste ancora». E nel piano di Trump, che rimane ampiamente inattuato, c’è anche un’altra idea che l’analista giudica particolarmente pericolosa, quella della gestione di Gaza attraverso una coalizione di forze straniere: «Significa offrire a Hamas uno scudo dietro cui nascondersi. Nessun attore internazionale potrà disarmare questa organizzazione terroristica. L’unico attore che può davvero smantellarlo è Israele», che però ha perso l’occasione di farlo quando ne ha avuto l’occasione. Kiev, il muro dei Volenterosi. Mosca: «L’Ue ascolti Trump»