È ordinaria amministrazione che la Casa Bianca non riveli gli spostamenti all’estero del presidente, specie in regioneidove è in corso un conflitto. La notizia però è che l’invito è arrivato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu al presidente americano Joe Biden.

Fino a qualche tempo fa, la cosa sembrava inconcepibile. La guerra dello stato ebraico con Hamas ha cambiato tutto questo, dato che Biden ha assunto una posizione di totale sostegno a Tel Aviv. Bisogna però dire che Netanyahu, il più longevo premier israeliano della storia, ha avuto sempre un difficile rapporto con gli inquilini della Casa Bianca.

Eppure, il suo retroterra, con un padre docente alla Cornell University e con anni di studio al Mit di Cambridge in Massachusetts, dove si faceva chiamare Ben Nitai per facilitare la pronuncia del suo cognome, lo avrebbero dovuto favorire. A Boston mosse i primi passi come consulente di marketing.

Invece è forse stato il premier più difficile da comprendere per gli Stati Uniti, un enigma sin da quando diventò premier nel 1996, sull’onda della delusione dell’opinione pubblica per i risultati degli accordi di Oslo siglati nel 1993 tra Israele e l’Olp di Yasser Arafat.

I cittadini erano ancora scossi dalla tragica morte del premier laburista Yitzak Rabin, assassinato da un estremista ebreo di destra, e dall’onda di attentati organizzati dall’allora capo politico di Hamas Abd al-Aziz al-Rantissi, tanto da affidare la guida del paese a questo giovane leader del Likud.

Netanyahu all’epoca si presentava come un pragmatico, interessato a una pace “giusta” con i palestinesi, chiedendo alla controparte concessioni prima ancora di siglare qualsiasi tipo di accordo. Il motivo per cui diede diversi problemi all’amministrazione di Bill Clinton, che sperava ancora di arrivare a una soluzione definitiva.

Nel 1997 ordinò un’operazione segreta in Giordania per uccidere uno degli alti dirigenti di Hamas, Khaled Mesh’al, tramite avvelenamento. Operazione che venne scoperta e che mise a rischio il trattato di pace firmato da Rabin con Re Hussein nel 1994. Fu solo per le pressioni della Casa Bianca che Netanyahu accettò di liberare 61 detenuti palestinesi, tra cui lo sceicco Yassin, leader spirituale di Hamas.

Obama e Trump

Per oltre dieci anni le relazioni con Washington non sono più state un problema di Netanyahu, che si stava costruendo un’immagine di leader “thatcheriano” interessato a riformare il profondità quello che allora era il generoso welfare state israeliano.

Una volta tornato al potere nel marzo 2009, Netanyahu ha dovuto confrontarsi con Barack Obama, che proponeva di resettare i rapporti con l’Iran dopo aver tenuto un discorso di apertura all’università islamica Al-Azhar de Il Cairo, ipotesi vista molto male dal neopremier, sempre meno disposto a lavorare con la controparte palestinese, anche se in quel periodo risale l’allentamento delle restrizioni di movimento ai palestinesi della Cisgiordania, territorio che raccolse un grande flusso di investimenti.

Netanyahu stoppò la costruzione di nuovi insediamenti come atto di buona volontà, i progetti già in corso non si fermarono. Sugli insediamenti si consumò la rottura quasi totale con l’amministrazione di Obama, tanto da accettare l’invito dello speaker della Camera dei Rappresentanti John Boehner a parlare di fronte al Congresso, dove criticò l’accordo siglato dall’amministrazione democratica con l’Iran per limitare lo sviluppo del nucleare in cambio di investimenti economici, dicendo che «sarebbe meglio che non ci fosse mai stato».

Addirittura rifiutò di incontrarsi con il presidente, uno sgarbo senza precedenti.

Nel quadriennio trumpiano, invece, Netanyahu sembrava aver trovato il partner perfetto: un nazional-conservatore ostile alla creazione di uno stato palestinese, da sostituire con alcune enclave arabe circondate da colonie, come delineato in un piano dettagliato di pace presentato nel gennaio 2020, sul quale però Netanyahu, all’epoca impegnato a sopravvivere a una lunghissima crisi politica che portò a tre elezioni nel giro di un anno e mezzo, aveva mostrato poco interesse.

Un rapporto che si è rotto il 9 novembre 2020, quando via Twitter si congratulò con il nuovo presidente eletto Joe Biden, uno sgarbo che Trump non ha mai dimenticato, tanto che lo scorso 8 ottobre, dopo il brutale attacco di Hamas, l’ex presidente ha dichiarato che l’ex premier «ci aveva abbandonato nel momento del bisogno».

Con Joe Biden i primi mesi dopo il ritorno al potere non sono stati facili, anche se si è continuato a cercare di portare a termine un accordo di pace con l’Arabia Saudita. Ora tutto questo è cambiato e Biden può essere più prezioso di Trump. E Netanyahu sarà sempre più indotto ad abbandonare le sue tentazioni illiberali, spinte anche dalla sua alleanza politica con i coloni estremisti.

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