Il gruppo repubblicano alla Camera non ha brillato per compattezza questo biennio, se non per la sua opposizione strenua alle proposte provenienti dalla Casa Bianca di Joe Biden.

Stupisce perciò la sconfitta della risoluzione di messa in stato di impeachment destinata al segretario per la sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas: tre repubblicani, i deputati Mike Gallagher, Ken Buck e Tom McClintock, hanno deciso di non sostenere una mozione che accusa il responsabile delle politiche migratorie dell’amministrazione Biden di aver «violato la legge» rendendo il confine più permeabile all’immigrazione clandestina e per aver «violato la fiducia del Congresso».

Due capi d’imputazione molto fumosi che non hanno convinto Gallagher e i suoi due colleghi. Quindi a causa dell’assenza del leader di maggioranza Steve Scalise, sottoposto a un ciclo di cure per un cancro, il conteggio è finito a 215 voti pari.

Risultato che avrebbe bloccato per sempre la mozione, finché il deputato Blake Moore dello Utah ha deciso tatticamente di votare "No” per presentare nuovamente la mozione con Scalise presente.

Speaker sconfitto

Ciò non toglie che un voto per l’impeachment di un membro dell’amministrazione Biden che finisce con 214 voti favorevoli e 216 contrari rappresenti un imbarazzante sconfitta per lo speaker Mike Johnson, che dopo essere stato eletto lo scorso novembre ancora non ha trovato la sua strada per gestire il riottoso gruppo congressuale composto attualmente da 219 deputati su 435.

Uno dei tre esponenti, Mike Gallagher del Wisconsin, pur essendo pressato da suoi colleghi vicini a Trump come la deputata Marjorie Taylor Greene, ha rilasciato nelle ore successive un comunicato dove mette in guardia gli altri colleghi sul «pericolo» che pone istituire un processo di impeachment con prove così scarse e che un simile precedente «invoglierebbe una futura maggioranza a fare altrettanto» con un’amministrazione repubblicana, ma anche che una simile iniziativa «non avrebbe contribuito a rafforzare la sicurezza del confine con il Messico».

Non era questo l’obiettivo della leadership della Camera. In primis, la decisione di mettere in stato di accusa Mayorkas è stata presa per preparare il terreno a un impeachment destinato al presidente Biden con l’accusa di aver «tratto profitti illeciti» dalle attività da lobbista del figlio Hunter. Ipotesi che a questo punto si allontana.

Rimane in piedi l’altra ipotesi: quella di esacerbare la questione migratoria in modo da rafforzare gli argomenti di Donald Trump in attesa delle presidenziali di novembre.

Fa il paio con questa strategia l’opposizione strenua e preconcetta alla bozza d’accordo bipartisan presentata al Senato domenica che combinava un pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, a Israele e a Taiwan da 118 miliardi di dollari insieme a un cambio sostanziale delle politiche d’immigrazione.

Nonostante accolga quasi tutte le proposte dei repubblicani, la maggioranza partito ha ormai deciso di affossarlo, contro i volere del leader al Senato Mitch McConnell che si è speso molto per la sua approvazione. In pratica si vuole spingere l’idea che solo Trump al comando può risolvere la questione: ipotesi fallace specie se, come sembra dai sondaggi, la maggioranza alla Camera passerà nuovamente di mano.

Un secondo fallimento

Del resto, anche in un’altra risoluzione votata ieri, la maggioranza repubblicana ha fallito. Lo speaker Johnson aveva proposto di votare un piano di aiuti militari da 17,6 miliardi di dollari da destinare al solo stato ebraico, senza prevedere tagli ad altre agenzie federali, in modo da attirare parte del gruppo dem.

Strategia fallimentare, dato che per l’approvazione di una simile mozione servivano i due terzi: 250 voti a favore di cui 46 dem. Sono mancati invece i consensi di 14 repubblicani del Freedom Caucus, che avrebbero voluto maggiori tagli per giustificare un simile esborso.

A dare maggiormente la sensazione di caos che pervade un partito diviso, ci sono le dimissioni di Ronna McDaniel dalla carica di presidente del comitato nazionale repubblicano. McDaniel era stata scelta da Trump nel 2017 e sotto la sua guida il partito ha collezionato solo sconfitte, come per il midterm del 2018 o le presidenziali del 2020.

Al limite, ha ottenuto vittorie striminzite come la conquista di un’esile maggioranza alla Camera, della quale però i repubblicani non hanno fatto un buon uso.

A Trump però questo non importa, dato che rafforza l’idea che solo la fiducia cieca in lui possa risolvere questo problema e sembra pensare lo stesso anche la leadership alla Camera: tutti, compreso il moderato Tom Emmer del Minnesota, hanno annunciato l’endorsement alla sua candidatura.

Però si tratta di un leader diverso rispetto a quello del primo mandato, pronto a divorare e stroncare la carriera di chiunque non gli dimostri completa fedeltà, compreso il responsabile dei negoziati sugli aiuti all’Ucraina James Lankford, repubblicano dell’Oklahoma dalle credenziali ultraconservatrici che ha subito una mozione di censura da parte della sezione statale del partito, che lo giudica colpevole “di aver trattato” con gli odiati dem.

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