Come pareggiammo la guerra. L’annuncio dell’accordo che mette un punto finale al conflitto mondiale del golf trasforma lo scontro durissimo di un anno e mezzo in una soluzione consociativa dalle larghissime intese.

A farsi convinto che l’abbraccio finale fosse preferibile a una contrapposizione tanto sanguinosa quanto priva di prospettive è stato Pga Tour, il soggetto che nel 2021 si era visto sottrarre il monopolio e per questo aveva scelto la linea dura contro chiunque aderisse al nuovo soggetto concorrente. Che dal canto suo si chiama LIV Golf (la sigla va letta come un numero romano, 54, che corrisponde al totale delle buche disseminate nei campi da golf del tour) e ha alle spalle il Public Investment Fund (Pif), il fondo sovrano dell’Arabia Saudita.

Era impossibile spuntarla contro un soggetto così, meglio venirci a patti almeno un minuto prima che ti divori. Deve essere stato più o meno questo il ragionamento che ha spinto Jay Monahan, il commissioner di Pga Tour, a chiudere frettolosamente le ostilità.

Cambio di fronte

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Fino all’inizio della scorsa settimana aveva avversato con ogni forza LIV Golf, scomunicando tutti gli atleti che accettavano le grasse offerte per giocare sotto le insegne dell’organizzazione concorrente e usando tutto l’armamentario retorico sulla violazione dei diritti umani di cui il regime saudita persiste a macchiarsi.

E per capire quanto dura fosse l’avversione del commissioner di Pga Tour verso tutto quanto fosse riconducibile al mondo saudita è sufficiente citare l’aneddoto di appena un mese fa.

Dal prossimo anno l’evento At&T Byron Nelson, una tappa del Pga Tour che si tiene in Texas, dovrà cambiare sponsor causa defezione di At&T. Aveva avanzato candidatura Raytheon Technologies, colosso dell’industria aersopaziale e degli armanenti, ma l’offerta è stata immediatamente bocciata da Monahan. Motivo: la commessa da oltre 3 miliardi di dollari, fra l’altro regolarmente approvata ad agosto 2022 dal dipartimento di Stato Usa, che Raytheon ha ottenuto dal governo saudita per la fornitura di 300 missili Patriot 104-E.

Sicché si può comprendere quale precipizio di prestigio e legittimità stia affrontando adesso Monahan, dopo aver dichiarato che fare 0-0 e poi bottega con l’ex acerrimo nemico sarebbe un bene per tutti.

Soprattutto per lui, che nel nuovo accordo consociativo manterrà una posizione strategica: commissioner del nuovo soggetto che, finanziato da Pif, nascerà dalla fusione di Pga Tour e LIV Golf. Adesso gli tocca giustificarsi coi professionisti lealisti, quelli che come Tiger Woods, Jon Rahm, Hideki Matsuyama hanno declinato le generose offerte saudite per rimanere sotto le insegne di Pga. Monahan starebbe pensando di “ricompensare” la loro fedeltà.

E al di là della mancata chiarezza sul quid della ricompensa, sorge imbarazzo se si pensa che i fedelissimi di Pga Tour avevano detto no alle fortissime “ricompense” offerte per saltare dall’altra parte.

Probabile che vedersi proporre da Monahan un registro che loro avevano rifiutato per rimanere al suo fianco provochi qualche rigetto. Come del resto testimoniano i malumori diffusi verso il commissioner da parte di quanti in questo anno e mezzo hanno scelto di rimanere sulla sponda Pga e adesso sentono di avere perso una battaglia. Per loro l’idea del pareggio non era contemplata.

Una strana Superlega

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Il grande architetto dell’accordo fra Pga Tour e Liv Golf è stato Jimmy Dunne, un membro dell’esecutivo Pga che si è preso in carico la responsabilità di cercare una mediazione.

In un lungo articolo pubblicato nei giorni scorsi dal sito di Sports Illustrated, Dunne ha raccontato numerosi retroscena sul lavorìo che sottotraccia ha portato al raggiungimento di un accordo: dal messaggio WhatsApp inviato lo scorso 18 aprile a Yasir Al-Rumayyan (governatore di Pif nonché esponente di spicco nella mappa del potere economico-finanziario disegnata dalla dinastia regnante saudita) che ha aperto le trattative, agli incontri intermedi che hanno avuto anche una tappa italiana a metà maggio.

E proprio in occasione della tappa italiana gli ex nemici Monahan e Al-Rumayyan si sarebbero trovati faccia a faccia. Dunne lascia intendere che adesso Monahan potrebbe anche cancellare LIV Golf, oltre a riammettere nella casa comune gli ex dissidenti cui aveva giurato imperitura ostilità. Ma se anche fosse, poco cambierebbe: le leve del potere, a partire da quella finanziaria, sono saldamente in mani saudite.

Il fondo sovrano saudita ha messo in campo tutto il peso della propria forza, vincendo in modo rapido e indolore. L’operazione LIV Golf è stata presentata come un esperimento di Superlega. Etichetta da accettare, ma a patto di tararne l’applicazione a ciascuna realtà dello sport internazionale cui la si accosti.

Nel caso del golf, uno sport individuale dalla struttura istituzionale internazionale non equiparabile a quelle di altri sport di squadra, si è trattato di andare a saccheggiare gli atleti di élite a un circuito che a sua volta è privato nonché di estrazione statunitense. Insomma, non c’era da scagliarsi contro organizzazioni internazionali o continentali come l’Uefa nel calcio o Fiba Europe nel basket.

E forse proprio questo aspetto ha reso meno complicato il disegno tracciato da Pif per mettere le mani sul golf mondiale d’élite. La soluzione di compromesso fra i due ex litiganti ricorda molto quella raggiunta nel basket europeo dopo il lancio della Superlega continentale all’inizio degli anni Duemila e promette di essere un accordo dall’esistenza molto meno travagliata rispetto a quanto avvenuto in oltre un ventennio di pallacanestro europea. Rimane piuttosto sullo sfondo un altro elemento di riflessione.

Quale sportwashing?

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L’espansione dell’Arabia Saudita nel mondo dello sport sta conoscendo un’accelerazione tumultuosa, che incontra insospettate disponibilità anche presso santuari dello sport globale che non sarebbero stati sospettabili di apertura.

L’ultima, seppur cauta disponibilità è giunta da Adam Silvercommissioner Nba. La più globale delle leghe sportive ha aperto di recente alla possibilità che fondi sovrani investano nelle franchigie, ma per una quota non superiore al 20 per cento. Potrebbe essere uno dei prossimi fronti di investimento nella realizzazione della strategia Vision 2030 che ha nel principe ereditario Mohammad bin Salman Al Sa’ud l’architetto di una strategia che non ammette intoppi.

I massicci interventi che vengono effettuati durante queste settimane nel mondo del calcio sono la parte più eclatante di un dossier che, dopo la fusione fra Pga Tour e LIV Golf, ha fatto parlare per l’ennesima volta di una vasta operazione di sportwashing. Si è pronunciata in questo senso anche Amnesty International, contribuendo ad alimentare una rappresentazione delle cose che non ci trova d’accordo.

La vasta operazione con cui l’Arabia Saudita si sta annettendo pezzi di sport globale non ha nulla a che fare con un’esigenza di ripulirsi l’immagine, così come non l’ha avuta l’operazione Qatar 2022. E il motivo di questa non sussistenza della spiegazione è molto chiaro: le dinastie regnanti della penisola araba non ritengono di dover compiere un’operazione di ripulitura dell’immagine, perché non percepiscono proprio come e quando quell’immagine sia stata sporcata.

La loro è una mera esibizione di potere, nella sua forma più schiacciante: il potere del denaro, disponibile in quantità esorbitante. I sauditi stanno comprando l’economia globale dello svago, per soddisfare l’ozio di una sterminata leisure class globale dai gusti ampiamente diversificati. In questo senso il golf è pezzo d’argenteria, un oggetto più simbolico che di valenza pratica vista la relativa portata della sua platea.

Ma anche gli elementi simbolici fanno presa nell’edificazione di un potere che rimane legato a un’impareggiabile forza finanziaria. I sauditi stanno comprando tutto e non si fermeranno. Nello sport come altrove, la filosofia che guida l’operazione è un machiavellismo rovesciato: il mezzo giustifica qualsiasi fine. E quel mezzo è il denaro.

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