I terremoti del 6 di febbraio nel sudest della Turchia hanno colpito almeno dieci città e centinaia di paesini. Si tratta di un’area sismica abitata da circa 3 milioni di persone.

Lutfu Savas, il sindaco della città di Hatay, una fra le più colpite, la sera del 6 febbraio ha lanciato un allarme: «Sotto le macerie ci sono numerose persone vive. Per quanto tempo possono reggere se non arrivano i soccorsi? Rischiamo che muoiano di ipotermia».

Tra i politici accorsi nella zona c’era anche il parlamentare nazionale d’opposizione Baris Atay. In un breve videomessaggio registrato davanti ai palazzi crollati insieme a un altro collega ha detto: «A Iskenderun e Antakya ci sono numerosi edifici ridotti in macerie ma i soccorsi non ci sono. I cittadini guidano gli scavatori e gli operai edili scavano con le mani per raggiungere le persone che lanciano richieste d’aiuto da sotto le macerie. Lo stato è totalmente inesistente».

Le stesse osservazioni sono state riportate anche dall’agenzia stampa Amed Dicle, nelle prime ore del 7 febbraio, attraverso una serie di video diffusi sui social.

In questo caso si trattava della città di Adiyaman, ridotta in macerie. Nelle immagini non c’è traccia di mezzi di soccorso: si vedono solo persone disperate alla ricerca dei loro cari.

Accuse di disinformazione

Secondo il governo la situazione è sotto controllo e chi sostiene il contrario fa un lavoro di disinformazione e manipolazione.

Ovviamente non mancano le dichiarazioni di vendetta e messaggi di minaccia da parte degli esponenti del governo nei confronti di chi critica la gestione dell’emergenza. Non si tratta di una novità.

Anche durante il terremoto del 2011 nella città di Van il governo centrale era stato criticato perché aveva deciso di rifiutare gli aiuti internazionali e non era stato in grado di intervenire in tempo e correttamente.

Il disagio per i cittadini di Van è proseguito anche dopo il terremoto, dato che per ben due anni gli abitanti sono stati costretti a vivere nei container.

La stessa incapacità si è mostrata anche nel caso del terremoto di Elazig nel 2020: soccorsi insufficienti, arrivati sul posto con notevole ritardo.

Quando i cittadini hanno domandato dove fossero finiti i fondi raccolti dallo stato nel 2011, dopo il terremoto di Van, è stato l’ex vicepremier, Mehmet Simsek, a dare la spiegazione: «Abbiamo usato quei soldi per diverse esigenze: per esempio per costruire autostrade, aeroporti e la ferrovia».

Non va dimenticato che la Turchia ha il secondo esercito più grande nella Nato e che solo nel 2022 ha speso per la difesa circa 12 miliardi di Euro. Nel 2023 prevede di portare il budget a 14 miliardi.

La reazione della società

Nonostante l’incapacità del governo centrale e la diffusa cultura del saccheggio delle casse dello stato, la società civile turca anche stavolta è stata in grado di produrre la sua alternativa.

Poche ore dopo i terremoti, in diversi angoli del paese, migliaia di persone si sono recate alle postazioni fisse e mobili per donare sangue.

Soprattutto nelle grandi città come Istanbul, Samsun, Eskisehir, Ankara, Izmir e Bursa si sono formate lunghe code per attendere il turno.

Un’altra immagine commovente è stata registrata nell’aeroporto principale di Istanbul: centinaia di persone erano pronte per partire verso le zone colpite dal terremoto, come volontari, per dare una mano alla protezione civile.

Anche nel mondo del sindacalismo sono state lanciate due grandi campagne di raccolta dei beni di prima necessità e sangue.

Il Sindacato dei lavoratori rivoluzionari (Disk), principale sindacato confederale della Turchia e il Sindacato dei lavoratori dell’impiego pubblico (Kesk) hanno organizzato partenze da diversi angoli del paese per portare aiuti e volontari nelle zone colpite dai terremoti.

Inoltre, l’Unione degli albi degli avvocati ha avviato una campagna di sostegno economico per i familiari degli avvocati morti durante i terremoti.

Infine il mondo della politica extraparlamentare fin dalle prime ore del disastro ha lanciato appelli per la raccolta dei beni e sono partite migliaia di persone verso le zone colpite dal terremoto.

Tra questi ci sono i partiti socialisti e comunisti extraparlamentari, i sindacati di base, i collettivi politici e le associazioni femministe e lgbt.

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