Pressioni per la cessazione dei «bombardamenti indiscriminati» nella Striscia di Gaza, tentativi di ripresa dei negoziati all’Onu per il cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi a Varsavia mentre i colossi della navigazione hanno deciso di sospendere i transiti nel Mar Rosso. Sono questi i temi su cui è ruotata la 73esima giornata del conflitto a Gaza.

Dopo che Francia, Regno Unito e Germania si sono uniti alle richieste globali per un cessate il fuoco nella guerra tra Israele e Hamas, il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, è giunto a Tel Aviv per la seconda volta dal 7 ottobre, per fare pressione sul governo di Israele per sottolineare le preoccupazioni per l’aumento del bilancio delle vittime palestinesi per l’uso di “bombardamenti indiscriminati” nella Striscia.

«La vittoria di Israele è la vittoria del mondo libero», ha ribattuto il ministro della Difesa, Yoav Gallant, al segretario della Difesa americano. Austin ha ribattuto che gli Usa «continuano a credere» nella soluzione dei due Stati e spingeranno per il ritorno degli ostaggi mentre il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha affermato che 90 persone sono state uccise da Israele nel campo di Jabalia a Gaza.

Nel frattempo a Varsavia si sono incontrati i capi di Mossad, Cia e premier del Qatar per riaprire i negoziati per la liberazione del centinaio di ostaggi israeliani. E come se non bastasse i ribelli yemeniti Houthi hanno rivendicato l’ennesimo attacco a una nave commerciale norvegese.

La guerra ha ucciso secondo il ministero della Sanità di Gaza oltre 19.000 palestinesi e trasformato gran parte del nord di Gaza in un paesaggio lunare. Dieci giorni dopo il veto americano, il Consiglio di sicurezza dell'Onu potrebbe decidere un nuovo testo che chiede «una cessazione urgente e duratura delle ostilità» a Gaza, in un momento in cui Washington mostra segni di insofferenza nei confronti dell'alleato israeliano.

Quel che è certo è che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, sta affrontando una crescente pressione interna e internazionale per la condotta della “sua” guerra a Gaza.

Le famiglie degli ostaggi tenuti da Hamas hanno chiesto al Governo con manifestazioni pubbliche e un documento comune di riprendere i negoziati per ottenere il rilascio dopo che i soldati israeliani hanno ammesso di aver ucciso per errore mentre sventolavano bandiera bianca tre ostaggi fuggiti dai loro sequestratori.

Nel frattempo gli alleati di Tel Aviv spingono affinché il paese moderi la sua offensiva nella Striscia o concordi un cessate il fuoco. Ed è sulla moderazione che il segretario alla Difesa degli Stati Uniti ha premuto di più, mentre i ministri degli Esteri di Regno Unito, Francia e Germania hanno chiesto e puntato su un cessate il fuoco. Che difficilmente arriverà visto che il ministro di destra, Ben Gvir, ha minacciato di abbandonare la coalizione se la guerra contro Hamas non «continuerà a pieno regime».

Il blocco della navigazione

Intanto l'impatto economico della guerra a Gaza sta aumentando anche fuori dei confini di Israele, poiché le principali compagnie di navigazione hanno sospeso l'uso del Mar Rosso, con enormi conseguenze per l'economia globale.

Stavolta non è il petrolio dell’Opec, come avvenne nella guerra del Kippur nel 1973, ma la via d'acqua che porta al Canale di Suez a diventare l’arma economica in mano ai ribelli Houthi sostenuti dall'Iran che hanno intensificato i loro attacchi alle navi, in un sostegno delle milizie palestinesi che combattono contro Israele.

Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno abbattuto più di una decina di droni houthi e il Pentagono starebbe valutando – ha scritto Jay Solomon di Semafor – un attacco diretto su obiettivi houthi nello Yemen.

Quello che il Wall Street Journal ha definito con apprensione come «l’assalto degli Houthi alla navigazione mondiale». L’incubo dell’allargamento del conflitto, che Washington vuole evitare ad ogni costo perché già impegnato a sostenere Kiev e l’isola di Taiwan dalle possibili mire future del presidente cinese, Xi Jinping.

Il ritorno degli Usa 

Una cosa è certa per gli analisti di geopolitica. Gli Stati Uniti sono tornati in grande stile negli affari del Medio Oriente abbandonando la dottrina isolazionista di Donald Trump prima e di Barack Obama poi che lasciarono campo libero alla Russia.

Certo l’antiamericanismo è al top in tutta la regione, ma nessuno mette in dubbio che gli Stati Uniti detengono ancora la maggior parte delle carte da giocare sul tavolo di negoziati e deterrenza. Vero è che il presidente Biden, l’artefice di questo ritorno in forze in Medio Oriente, ha affermato di essere sempre più frustrato dai tristi numeri dei sondaggi in vista delle presidenziali del 2024.

L’inquilino della Casa Bianca ha affermato in un recente incontro che i numeri dei sondaggi sulla sua popolarità sono inaccettabilmente bassi e ha voluto sapere – ha riportato il Washington Post – cosa stava facendo la squadra della sua campagna al riguardo.

A preoccupare gli esperti della sua squadra c’è la Guerra a Gaza e le modalità di esecuzione che stanno alienando molte simpatie a Biden tra da gli arabo-americani e tra i giovani.

Per questo Biden spinge, attraverso il segretario alla Difesa, per chiudere questo conflitto caratterizzato da troppi «bombardamenti indiscriminati» sui civili che rischia di trasformarsi in un siluro alle sue aspettative di rielezione contro un candidato come Trump che non mancherà di usare ogni mezzo per criticare la politica del bastone e la carota di Biden verso Israele.

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