«La Nato combatterebbe volentieri la Russia fino all’ultimo soldato finlandese. Ne avete davvero voglia?». Il 1° luglio del 2016 il presidente russo Vladimir Putin commentava così un possibile ingresso della Finlandia nell’Alleanza atlantica.

Oggi la Nato conta 30 membri, a Bruxelles al 1110 di Boulevard Leopold III non sventola la bandiera a croce blu e sfondo bianco ma da qualche anno a Helsinki c’è un centro studi che si prepara a una delle guerre che la Nato teme di più: quella ibrida.

Nel 2017 è stato inaugurato l’European Centre of Excellence for Countering Hybrid Threats: centro da 1 milione e mezzo di euro pensato per trovare, studiare e discutere metodi di contrasto alla guerra ibrida, e ai cyberattacchi degli hacker russi.

Il centro produce una serie di report e organizza convegni tra accademici con centinaia di partecipanti. Sull’insegna non c’è né la stella a quattro punte in rilievo, e nemmeno il cerchio a dodici stelle. Non è un centro Nato, non è un centro dell’Unione europea.

Di fatto però, all’inaugurazione in posa per le foto di rito c’erano sia il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sia l’allora alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione, Federica Mogherini. Per capire il valore strategico della struttura basta partire da una considerazione.

La Finlandia ha un esercito che conta 280mila soldati –   riservisti inclusi – e ha un fianco di 1.340 chilometri che confina con la Russia. A 170 chilometri dalla cittadina finlandese di Nujama c’è San Pietroburgo.

«Non credo i confini siano una variabile di per sé, ma sicuramente i paesi che condividono un confine con la Russia percepiscono un grado di minaccia superiore rispetto a paesi lontani», è l’opinione di Andrew Radin, analista del centro Rand specializzato in guerra ibrida nel Baltico.

«Tra le varie definizioni di minaccia ibrida, nessuna è esaustiva fino in fondo. Spesso è intesa come il tentativo di influenzare o sovvertire la politica di un paese, tramite cyberattacchi o azioni di propaganda», giusto per capire di cosa parliamo quando diciamo “guerra ibrida".

Norvegia, Finlandia, Polonia e Paesi Baltici «hanno vissuto gran parte della loro esistenza con la possibilità di un’invasione russa», si legge in un report della Rand Corporation.

Tutti paesi che infatti hanno composto da subito la lista dei “member states” del centro d’eccellenza – voluto dal governo di Helsinki – e di cui fanno parte anche Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svezia e Francia.

Dall’Artico al nord Africa

La partecipazione alle attività del centro è aperta a tutti i paesi membri dell’Ue e a tutti gli alleati Nato. E infatti i membri del CoE sono diventati ad oggi 31 – l’ultimo in ordine di tempo è stata l’Islanda – un numero che dà la misura di quanto questo tema sia diventato cruciale per diplomazie e comandi militari negli ultimi anni.

Tra i temi dibattuti ci sono l’influenza russa nella regione del Mar Baltico, le strategie nell’Artico tra Stati Uniti, Cina e Russia, e ovviamente quanto è successo nelle ultime settimane in Ucraina.

Con le possibili implicazioni e “minacce ibride” della Russia in medio oriente e nord Africa dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

La Russia è storicamente una delle prime preoccupazioni per la Finlandia, paese neutrale dal 1948 dopo aver siglato un accordo di cooperazione con l’Unione sovietica, che di fatto vietava il suo ingresso nella Nato in cambio di relazioni stabili.

Ad ogni modo, a Helsinki una città sotterranea si snoda per 200 chilometri di tunnel e bunker, ed è pensata per far fronte a una eventuale invasione o bombardamento.

Ci sono acqua, wi-fi e sistemi di comunicazione militare, e spazio per l’intera popolazione della città. In più i tunnel portano a una isola ad uso militare dove organizzare un contrattacco.

E se, come successo negli ultimi anni, Mosca organizza maxi esercitazioni militari, la Finlandia intensifica l’addestramento del suo esercito, anche per muoversi sottoterra. Oppure simula un attacco a un palazzo presidenziale ad opera di forze speciali straniere, proprio come successo in Crimea. Ma non solo.

Partecipa come nazione partner a Cold Response, la più grande esercitazione Nato del 2022, dove 30mila soldati simulano una guerra in mezzo alla neve e con temperature sotto lo zero.

Allineamento con la Nato

Una abitudine ad essere pronti a qualsiasi scenario che giustifica l’allineamento progressivo tra la Nato e Helsinki – la prima partnership venne siglata nel 1994 – in chiave anti Mosca. 

È stato rinnovato l’Enhanced Opportunities Partners Program, un accordo siglato nel 2014 che mette a disposizione della Nato basi e aree d’addestramento in tutta la Finlandia, e che permette alle truppe finlandesi di prendere parte alle esercitazioni congiunte.

Nel 2016 il segretario Nato Jens Stoltenberg ha dato atto degli sforzi fatti dal presidente finlandese Sauli Niinistö nel pattugliamento dell’area Baltica, ringraziando il «personale coinvolgimento per la sicurezza aerea della regione». 

Partner sì, paese membro dell’Unione europea sì dal 1995, membro della Nato ancora no. A livello strategico si tratta di una differenza più formale che sostanziale.

La capacità operativa di intervenire rapidamente a sostegno di un Paese esterno all’Alleanza è infatti già stata testata nel 2015 con Trident Juncture, dove nello scenario simulato la “Cerasia” –  che non esiste – veniva invasa da un paese confinante più forte.

Già lì, a pochi mesi dall’invasione della Crimea, era chiaro il parallelismo con gli stati situati tra la Russia e la Nato, come Georgia e Finlandia. Nello stesso anno la Russia ha riaperto una base abbandonata nella penisola di Kola, a 60 chilometri dal confine finlandese.

«Dall’invasione russa dell'Ucraina con l’annessione della Crimea da parte della Russia, c’è stata una crescente consapevolezza nei paesi Ue e Nato che le azioni ibride rappresentano un nuovo modo di combattere a cui è meglio essere preparati», ha detto Jeff Rathke – ex direttore della comunicazione del Dipartimento di Stato Usa, un passato nel board del Csis di Washington e oggi al centro Aicgs della John Hopkins University – spiegando la necessità di aprire un centro come il CoE in Finlandia.

Rathke ha lavorato sia al quartier generale Nato a Bruxelles, sia nella Situation Room della Casa Bianca, il centro operativo dove si decidono e si seguono le operazioni d’intelligence decise dal presidente Usa.

«Non è una questione di essere pronti a un intervento militare», spiega, «ma di mettere in atto le cornici interpretative militari, politiche e civili per far sì che la Russia o altri attori ostili non possano far leva su fratture per raggiungere i propri obiettivi». 

«È geografia. La Russia è lì e bisogna tenerla d’occhio per promuovere le migliori relazioni possibili». Una linea telefonica Helsinki-Mosca è stata aperta nel 2017 con un revival da Guerra fredda.

In caso di crisi militari ed escalation improvvise, funzionari della Difesa possono chiarirsi 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Con una telefonata. Intanto però non resta che studiarsi a vicenda, fidandosi – per quanto possibile –  l’uno dell’altro. Perché come dice il proverbio russo che tanto piaceva a Ronald Reagan: Doveryai, no proveryai. Fidati, ma verifica.

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