Sembra che ci sia una correlazione diretta nella politica americana: più migranti illegali entrano dal Messico negli Stati Uniti, più Joe Biden perde consensi. Non solo, la sicurezza del confine tra i due paesi è il nodo fondamentale che al momento tiene fermo tra i negoziatori del Senato un pacchetto da 106 miliardi di aiuti, chiesto dal presidente lo scorso 20 ottobre, da destinare a Ucraina, Israele e Taiwan.

L’immobilismo delle trattative, inoltre, ha fatto sì che nel mese di dicembre ben 250mila persone abbiano attraversato la linea che separa i due paesi. Nel frattempo, il governatore del Texas, il repubblicano Greg Abbott, sta risolvendo la questione a modo suo: non solo sta usando qualsiasi mezzo di trasporto per dislocare nelle città progressiste del nord numerosi pullman carichi di migranti, ma da qualche settimana ha firmato un decreto esecutivo che autorizza le forze di polizia locali ad arrestare gli irregolari, sostituendosi dunque all’Ice, la polizia federale che si occupa di sorvegliare le frontiere e che a detta di molti ha bisogno di nuove assunzioni e di maggiori finanziamenti (14 miliardi di dollari però sono bloccati nel già nominato maxi provvedimento).

Il fronte diplomatico

Resta solo la diplomazia. Il 27 dicembre una delegazione guidata dal segretario di Stato Antony Blinken ha raggiunto Città del Messico per un incontro con il presidente Andres Manuel Lopez Obrador.

Insieme con lui c’erano anche il segretario alla Sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas e l’advisor della Casa Bianca sulle questioni migratorie Liz Sherwood-Randall.

In teoria il leader messicano appartiene a una partito di sinistra, ma su alcune posizioni ha mostrato una certa vicinanza anche all’ex presidente Donald Trump, che ha seguito nel tagliare i fondi alle organizzazioni ambientaliste e nell’uso del populismo anche contro le misure di contenimento della pandemia da Covid 19: del resto si può affermare che nel 2018 la retorica anti migranti dell’allora inquilino della Casa Bianca catapultò Lopez Obrador alla vittoria dopo che era stato candidato anche alle presidenziali del 2006 e del 2012.

Nonostante questo, alcune dichiarazioni da parte messicana sembrano preannunciare degli accordi non meglio definiti che sarebbero stati siglati in seguito ai colloqui di mercoledì. Anche Blinken ha annunciato che le conversazioni sono state «costruttive». Al centro dei dibattiti c’è stato non soltanto il contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina sul territorio messicano, ma anche alcune limitazioni che colpiscono gli autotrasportatori al confine con gli Stati Uniti. I controlli pervasivi che devono subire sono considerati «inaccettabili» dalla ministra degli Esteri Alicia Barcena.

Non è chiaro però cosa prevedono queste nuove intese. Potrebbero anche essere dichiarazioni di circostanza fatte per cercare di guadagnare tempo in attesa di qualcosa di più sostanzioso e, nel frattempo, forzare la mano ai repubblicani nel negoziato che blocca anche gli aiuti militari ad alleati cruciali di Washington.

Repubblicani sul piede di guerra

Un altro evento potrebbe velocizzare le trattative al ritorno dei rappresentanti nella capitale americana dopo la pausa natalizia: la formazione di una carovana di oltre 8mila migranti di varie nazionalità tra cui Cuba, Venezuela e persino Siria e Camerun in marcia verso il confine con gli Stati Uniti.

Difficilmente però la richiesta di Lopez Obrador di rilassare le sanzioni verso Caracas e L’Avana potrà essere sostenuta dalla controparte americana, dato che viene vista come il fumo negli occhi dai repubblicani. E proprio i conservatori americani negli ultimi mesi hanno alzato i toni dello scontro nei confronti del vicino meridionale.

Negli ultimi dibattiti repubblicani alle primarie presidenziali i candidati si sono mostrati concordi nel ritenere concreta la possibilità di mandare truppe oltre il confine per combattere i cartelli della droga. Una decisione che porterebbe a una protesta forte da parte del governo messicano con la possibile rottura delle relazioni diplomatiche.

In questo quindi si spiegherebbe il mutato atteggiamento di Lopez Obrador nei confronti dell’amministrazione Biden dopo anni di ammiccamenti al modello di leadership trumpiana: un ritorno dell’ex presidente alla Casa Bianca potrebbe portare a conseguenze non gradite dal punto di vista della violazione della sovranità messicana.

Dopo mesi di stallo, dunque, può essere proprio l’omologo di Biden a dargli un insperato aiuto nell’uscire da un impasse che blocca le attività del Congresso, mentre ci si prepara all’ennesima scadenza del finanziamento del governo federale. Il prossimo 19 gennaio, in mancanza di una nuova intesa bipartisan su un budget temporaneo, cesserebbero i finanziamenti al comparto agricolo, al sostegno ai reduci di guerra e altre importanti voci di spesa sociale.

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