È spesso alla Francia che bisogna guardare per cogliere la direzione e i contorni di dibattiti intellettuali e culturali con le più rilevanti implicazioni politiche. E oggi la Francia brucia, avvolta da un conflitto senza sosta che tocca l’identità profonda del paese e la sua paura di guardarsi allo specchio.

Come in un nuovo capitolo di un romanzo di Houellebecq, la Francia si deforma nel suo dibattito pubblico sul ruolo della religione, e soprattutto dell’islam, nella sfera pubblica, agitando il fantasma dell’islamo-gauchisme, un neologismo creato per segnalare una singolare alleanza politica fra settori della sinistra e gli ambienti islamici più radicali. Tutto avviene mantenendo sullo sfondo quello che è il vero tabù del dibattito pubblico francese sul tema, una laïcité dura, sistema operativo della République e marcatore di civilizzazione intoccabile. Per combattere l’avanzata dell’islamo-gauchisme la ministra dell’Istruzione superiore Frédérique Vidal ha addirittura chiesto di aprire un’indagine sulle ricerche che vengono condotte nelle università francesi anche al fine di distinguere «quello che è ricerca da quello che è militanza politica». È venuto giù il mondo: polemiche politiche, richieste di dimissioni, petizioni.

Qualche giorno fa il politologo Olivier Roy, in un’intervista a France Inter, con una delle sue battute illuminanti, ha sostenuto che non c’è nessuna alleanza fra la sinistra e l’islamismo radicale: «Siamo nel confusionismo. Sono solo degli intellettuali marxisti». Ho lavorato per anni con Roy e, memore di conversazioni che duravano fino a tarda ora, non ho resistito. L’ho chiamato e ho provato a capire di più. Mercoledì Le Nouvel Obs ha pubblicato una sua lunga intervista molto critica all’approccio macronista e allo spostamento a destra di un partito nato da matrici liberali-europeiste e che invece oggi, su alcune posizioni, pare addirittura scavalcare a destra Marine Le Pen.

Tuttavia, sostiene Roy nell’intervista al magazine francese: «I macronisti sono troppo elitari per essere populisti. Quindi li scimmiottano e sono disposti a fare di tutto». Quando qualche settimana fa, in un confronto tv, il ministro dell’Interno di Macron, Gérald Darmanin, ha accusato Marine Le Pen di essere troppo soft rispetto ai problemi sollevati dall’islamismo radicale è arrivato il momento della rivelazione. I pochi secondi di stupore sul volto di Marine Le Pen hanno detto tutto e annunciano una campagna elettorale molto focalizzata sui temi culturali e identitari.

Che cosa significa laïcité?

Cosa succede, siamo alla bancarotta intellettuale? «È un po’ vero. Sentiamo spesso parlare di laïcité come insieme di valori, ma poi quando si chiede di definire questi valori nessuno è capace di farlo. O si dicono cose generali che non significano niente. Si dice che la laïcité si basa sulla libertà d’espressione, ma non è possibile esprimere sentimenti religiosi. Una contraddizione totale». Ma cosa pensa oggi Macron? «I macronisti pensano che la questione principale oggi in Francia sia quella relativa all’identità. Il grande errore della sinistra è quello di partecipare a questo dibattito continuando a insistere sulla centralità della laïcité rispetto alla questione dell’identità della Francia oppure difendendo altre identità: il femminismo, l’identità Lgbt, le minoranze culturali». A me questa analisi sembra in linea con la critica alla identity politics fatta da Mark Lilla ai democratici americani. La questione religiosa, centrale nel dibattito sulla laïcité, genera il tilt a sinistra. Appena si toccano i fili si genera un circuito intellettuale.

«È così, perché siamo un paese totalmente decristianizzato. La sinistra oggi non ha nessun interesse genuino per la religione. Si usa la carta religiosa solo se utile a difendere minoranze percepite come oppresse, ma in quanto minoranze, non perché c’è un interesse per la religione. Gli intellettuali cristiani sono tutti a destra. Come ha mostrato Jean-Louis Schlegel, non ci sono più cristiani di sinistra». Ma non è forse così anche negli Stati Uniti con una destra religiosa molto organizzata, che fa spazio ai suoi quadri intellettuali, che ha una sua produzione intellettuale che si trasforma in egemonia politica e una sinistra religiosa che sostanzialmente non esiste? Roy inizialmente esita: «No, ma c’è qualcosa, ci sono dei movimenti». Allora insisto, applichiamo Gramsci. Cosa direbbe? Questi movimenti sono in grado di produrre una qualche forma di egemonia sulla società? Con una destra religiosa che riesce addirittura ad avere un impatto non solo nazionale ma anche internazionale? «Si, è vero hai ragione. Per gli Stati Uniti è così».

Ma allora perché la sinistra religiosa è morta? «Su questo hanno ragione gli intellettuali della destra religiosa. La sinistra cristiana è morta perché ha contribuito all’avanzata della secolarizzazione che ha espulso la religione dal discorso pubblico. E con l’avanzare della secolarizzazione vengono meno i prerequisiti stessi che possono legittimare la stessa esistenza della sinistra religiosa».

Ma allora possiamo concordare sul fatto che la questione centrale sia quella religiosa e soprattutto sull’incapacità degli intellettuali progressisti di cogliere pienamente la rilevanza del fenomeno religioso anche in una società secolarizzata? Come è possibile creare oggi un discorso di emancipazione universale della sinistra in Francia senza fare riferimento alla religione? «C’è una differenza generazionale. Le generazioni più anziane credono ancora ai discorsi universali, i più giovani vedono nell’universalità una trappola, ovvero la dominazione dell’uomo bianco occidentale. È una crisi simile a quella del ’68, quando molto professori e intellettuali più anziani impauriti dall’anarchismo montante dei movimenti si rifugiarono a destra. E anche oggi si ritorna a destra. Macron ha capito che, in termini gramsciani, quello della laïcité è il paradigma dominante e allora prova a egemonizzare il discorso sorpassando, addirittura a destra, Marine Le Pen!».

Ma non è forse questa la testimonianza dell’incapacità di produrre pensiero da parte della sinistra? «Assolutamente, ma anche qui c’è la questione generazionale. Con Hollande, ad esempio, si poteva parlare. C’era l’idea di una cultura condivisa. Ma la nuova generazione ha una cultura politica diversa, non conosce la storia. Sono influenzati dal narcisismo dei social network e dalla cultura del marketing aziendalistico». Che non riesce a comprendere la religione, che sia l’islam, il cristianesimo o altro. «È così, ed è perfettamente razionale per loro. Come può esistere e avere rilevanza una cosa che non esiste? Allora l’approccio fondato sulla laïcité non inclusiva ha perfettamente senso perché è razionale, si limita a escludere la religione».

Lo spazio a destra

Ma questo non produce una cannibalizzazione a destra del discorso religioso? «È così, soprattutto quando settori importanti della destra hanno anche sposato la causa dell’anticapitalismo». La destra, quindi, sta occupando tutto lo spettro intellettuale. Se può essere anticapitalista, avanzare una politica identitaria fondata sulla laïcité come paradigma dell’essere francese, cosa resta per la sinistra? Saremo davanti ad uno scontro finale tra Macron e Marine Le Pen? «È possibile, e probabilmente l’elettorato di sinistra si asterrà perché non potrà a quel punto votare per Macron». Ma non è dunque questa una vittoria per Marine Le Pen e per le idee della destra? «Gramscianamente è assolutamente così, siamo davanti a una egemonizzazione quasi completa del discorso politico da parte della destra. La conferma di questo è nel confronto televisivo fra Darmanin e la Le Pen. Potrebbero essere nello stesso partito». Ma Macron non è un liberale? «È convinto di esserlo, ma si comporta sempre di più come Orbàn. O come un politico conservatore polacco».

Ma non c’è forse alla base di questo approccio, forse paradossalmente, proprio un approccio religioso che eleva una certa idea di progresso imposto mediante l’azione coercitiva dello stato a religione civile? «Non hai bisogno di credere in Dio per imporre una religione civile». Qualche anno fa la conversazione sarebbe continuata a San Domenico di Fiesole davanti a una tavola con vista sulle colline fiorentine. Speriamo di riprendere presto le antiche tradizioni.  

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