Eliminare il dissenso interno. Controllare la narrazione. Screditare chi si oppone al pensiero dominante. La guerra scatenata da Vladimir Putin all’Ucraina non è condotta solo sul campo di battaglia, ma anche internamente.

L’obiettivo sono coloro che, da voci indipendenti, riportano quanto sta avvenendo nell’ex territorio sovietico contraddicendo le indicazioni dello Zar di San Pietroburgo.

Nelle ultime settimane le autorità giudiziarie e per le comunicazioni di Mosca hanno colpito i media indipendenti, bollati come nemici del Cremlino.

Il 4 marzo il Servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, informazioni, tecnologie e mass media (noto come Roskomnadzor) ha bloccato l’accesso ai canali web del sito lettone Meduza, molto seguito in Russia, e dell’emittente radiofonica Radio Liberty.

Secondo la Procura generale russa, che ha disposto lo stop ai canali d’informazione, tali testate avrebbero violato l’articolo 15.3 della Legge federale sull’Informazione.

I provvedimenti di queste ore seguono sia il blocco di alcuni canali stranieri, tra tutti l’emittente britannica Bbc e quella tedesca Deutsche Welle, al momento oscurate in Russia, sia la chiusura di testate locali.

Il 1° marzo  la Procura generale ha disposto la chiusura delle storiche emittenti russe Echo Moskvy (radio) e Dozhd Tv (nota in occidente anche come Rain Tv).

Entrambe le testate sono state riconosciute “colpevoli” di essere «agenti dei media stranieri operanti all’interno della Federazione Russa», poiché avrebbero inserito in modo «mirato e sistematico» informazioni finalizzate all’incitamento di attività estremistiche, veicolando inoltre informazioni considerate “false” riguardanti le azioni del personale militare russo nell’ambito dell’invasione ucraina.

A seguito di tale provvedimento il consiglio di amministrazione di Echo Moskvy ha stabilito di chiudere definitivamente la stazione radio che trasmetteva dall’agosto del 1990.

Il governo unica fonte

In sintesi il Cremlino “pretende” che i media russi (e non solo) utilizzino esclusivamente le notizie provenienti dalle strutture governative e ufficiali come fonti d’informazione. In Russia, ad esempio, è vietato parlare di “guerra” in Ucraina, ma è «fortemente consigliato» l’utilizzo della locuzione «operazione speciale» promossa da Putin.

È solo la punta visibile di una strategia di comunicazione interna che vuole assoggettare ai propri desiderata il flusso informativo.

Oltre cento fra giornalisti e testate d’informazione sono state identificate dal ministero della Giustizia come “agenti stranieri” operanti in Russia.

Uno dei principali obiettivi della guerra all’informazione è Dmitrij Muratov, direttore della testata indipendente Novaja Gazeta e premio Nobel per la pace nel 2021. Il quotidiano, da sempre attivo nell’informazione libera e indipendente ha assistito, nel corso degli anni, persino all’omicidio di cinque suoi giornalisti, tra cui Anna Politkovskaja, considerati alla stregua di nemici dello stato.

«Tutto ciò che non rientra nella propaganda deve essere eliminato. Siamo pronti a non rispettare le eventuali imposizioni provenienti dal Roskomnadzor che implicano l’auto censura dei giornalisti. Faremo affidamento solo sulla redazione e sui nostri corrispondenti. Purtroppo la propaganda è come le radiazioni e qui sono in molti ad esserne stati colpiti», ha detto Muratov a diverse testate internazionali.

Lo stesso Muratov ha detto che l’esistenza stessa del quotidiano indipendente moscovita è a rischio.

Molto prima dell’invasione

Il 3 febbraio, venti giorni prima dell’inizio della guerra in Ucraina, la giornalista Elena Milashina, corrispondente della Novaja Gazeta dalla Cecenia, ha dovuto abbandonare la Russia a causa di gravi minacce, arrivate anche da «rilevanti esponenti della repubblica cecena».

Il Cremlino usa anche la leva economica per silenziare gli oppositori. Novaja Gazeta, ad esempio, ha ricevuto multe da oltre 12mila dollari, cifra significativa nel panorama economico indipendente moscovita. 

Il Roskomnadzor ha aperto le indagini per verificare l’eventuale uso di notizie «non verificate o propagandistiche» da parte dei media locali. Se ritenute colpevoli le testate potrebbero subire multe fino a 5 milioni di rubli (circa 72.400 euro).

A fare eco alle parole di Muratov è Ekaterina Kotrikadze, conduttrice di Dozhd Tv e moglie del caporedattore della stessa emittente Tikhon Dzyadko.

«La minaccia che stiamo subendo è molto concreta. È diventato impossibile lavorare qui», ha detto alla Cnn.

 A seguito della chiusura del canale e delle minacce subite, Dzyadko e la sua famiglia hanno dovuto lasciare la Russia.

Oggi se si prova ad accedere al canale YouTube di Dozhd Tv appare l’annuncio del blocco delle trasmissioni imposto dalle autorità russe.

Poco prima che il canale venisse oscurato,  la direttrice Natalija Sindeeva ha detto in diretta: «Siamo costretti a sospendere temporaneamente il nostro lavoro. Ora abbiamo bisogno di riordinare le idee e capire come provare a proseguire il nostro lavoro. Non voglio piangere perché ne abbiamo già passate tante, abbiamo superato tante difficoltà e siamo abituati a non darla vinta».

© Riproduzione riservata