Derby d’Arabia. Inter e Milan cercano ancora di capire in quale stadio verranno giocate le sfide stracittadine dei prossimi decenni ma intanto viaggiano verso Riad per disputarsi la Supercoppa 2022.

Unitamente alla Lega di Serie A arrivano come seconde, dopo che nello scorso weekend la scena è stata occupata dalla Liga Spagnola.

Che per andare incontro alle esigenze dei padroni di casa sauditi ha deciso di ridisegnare il format della competizione. È stata congegnata una final four che mette a confronto non soltanto la vincitrice della Liga e quella della coppa nazionale, ma anche l’altra finalista della Coppa del Re e la seconda classificata in campionato.

La manifestazione si è chiusa con uno spettacolare confronto fra Real Madrid e Barcellona (vinto 3-1 dalla squadra catalana), cioè il meglio che la ditta potesse offrire.

E tre giorni dopo quel finale pirotecnico giungono le due squadre milanesi, che non attraversano il loro momento migliore e che di questa trasferta araba avrebbero fatto a meno.

Ma devono andare perché l’assegno da 7,5 milioni di euro staccato dagli arabi fa gola. E ancor più gola fa la proposta che i sauditi hanno avanzato con richiesta alla Lega di Serie A di adottare la stessa formula di Final Four assunta dalla Liga: 138 milioni di euro per sei anni, al netto di tutte le spese di trasferimento e ospitalità che sarebbero completamente coperte dagli organizzatori locali.

Un’offerta molto generosa che la cosiddetta confindustria del calcio italiano accetterebbe al volo. Per questo adesso cercherà di persuadere i propri associati a accettare la modifica del format. Consapevole che altrimenti quei denari andranno altrove.

Hub dell’economia 

Proprio questo è il punto. Che quei denari da qualche parte andranno. Perché sono parte di una chiara strategia che vede il regno saudita impegnato a spostare il peso di una smisurata potenza economica nel terreno dell’economia globale dello sport e dell'intrattenimento.

Che unitamente al segmento delle energie rinnovabili è fra quelli strategici nel sistema economico globale del Ventunesimo secolo.

Su questo terreno la monarchia araba è partita in ritardo rispetto al Qatar, il minuscolo emirato che fino a mezzo secolo fa non era nemmeno uno stato-nazione indipendente e adesso è diventato una potenza dello sport globale.

Per lungo tempo la corona saudita ha guardato con degnazione al Qatar, poi lo ha persino messo sotto embargo fra il 2017 e il 2021.

Salvo comprendere in un secondo tempo che bisognava accettare lo stato delle cose: i qatarioti sono stati più svelti nel cogliere lo spirito del mutamento economico e culturale del mondo globale.

Dunque trattarli con ostilità o, peggio ancora, sminuirne i successi nella scalata al rango di potenza economica internazionale, non aveva alcun senso.

Meglio imitarne il modello e provare a innovarlo guardando alle proprie specificità. La strategia è stata affinata nel documento Vision 2030, nel quale allo sviluppo dell'economia della cultura e dello svago viene assegnato un ruolo centrale.

E da lì è partita la conquista del mondo dello sport, animata da un'ambizione che non conosce limiti allo stesso modo delle risorse economiche a disposizione.

Un’operazione che, contrariamente a quanto sostengano molte e autorevoli opinioni, non è soltanto di sportwashing, ma pura politica di potenza allo stesso modo in cui lo è stata nel caso del Qatar.

Grazie a questo approccio l’Arabia Saudita si sta trasformando in un gigantesco hub dell’economia di sport e intrattenimento.

Lo fa attraverso l’uso di una strategia della diversificazione a tutto campo, grazie alla quale vengono distinti sia gli oggetti su cui investire (società sportive, compagnie impresariali, sponsorizzazione di eventi e atleti), sia gli eventi da attrarre per portare sempre più in casa propria l’asse di rotazione dello sport globale.

Comprare tutto

L’investimento nel calcio è stato un passaggio fondamentale. E dovendo scegliere di entrare nel settore col maggior impatto possibile, gli arabi hanno puntato al bersaglio grosso: la Premier League.

L’acquisizione del Newcastle United, giunta con un anno di ritardo perché i club della Premier hanno vanamente tentato di stoppare l’ingresso di un soggetto a rischio di ammazzare la competizione (e coi “cugini” degli Emirati Arabi Uniti, proprietari del Manchester City, a esercitare l’opposizione più dura), ha segnato un salto decisivo.

Che è arrivato dopo che già gli arabi avevano marcato il territorio ospitando sul suolo nazionale il grande calcio estero, come appunto la Supercoppa Italiana.

Con la gara di stasera a Riad sarà la terza presenza in terra araba, dopo le edizioni 2018 (Gedda) e 2019 (ancora Riad). L’organizzazione della Supercoppa spagnola è stata il passo successivo.

E adesso si punta a consolidare il calcio nazionale, che durante i mondiali qatarioti si è distinto per la vittoria della nazionale in maglia verde contro i futuri campioni del mondo dell’Argentina e adesso prova a rafforzare lo spessore del campionato nazionale con l’arrivo di Cristiano Ronaldo all’Al Nassr.

Il calcio è soltanto un pezzo della strategia di espansione nello sport. Altri pezzi, non meno importanti, dicono che il dispiegamento di forze voluto dalla dinastia dei Bin Salman punta molto in alto e non conosce misure.

Gli arabi vogliono tutto e sono disposti a forzare i limiti. Stanno provando a farlo in Formula 1, dove hanno già ottenuto una tappa del mondiale a partire dal 2021 (circuito di Gedda), ma adesso pianificano di ottenerne un’altra da far disputare nel circuito di Qiddiya, la cittadella dell’intrattenimento globale in fase di costruzione a Riad.

Sarebbero due gran premi annuali nello stesso paese, ma dove sta il problema? Tutto ha un prezzo e loro possono pagare anche il più alto e comprarsi pure il banco.

Stanno facendo così anche con gli sport elettronici, per i quali è stata lanciata una sorta di opa a livello mondiale con lo scopo di fare dell’Arabia il polo di riferimento.

Hanno dato la scalata al golf mondiale, creando con il LIV Golf una superlega che uno dopo l’altro attrae i migliori giocatori del mondo e ha mandato in crisi il circuito Pga. L’ultima acquisizione risale a pochi giorni fa: è stata comprata la World Wrestling Entertainment (Wwe).

Dietro tutte queste acquisizioni c’è una presenza costante: il Public Investment Fund (Pif), il fondo sovrano che sta rastrellando tutto il rastrellabile per consolidare l’egemonia araba nel settore sport e intrattenimento.

I bersagli grossi

Tutte le acquisizioni raccontate sono parte di un piano complessivo che ha un punto di snodo fondamentale: l’anno 2030, indicato come spartiacque nel programma strategico di sviluppo nazionale.

Per quell’anno la monarchia saudita spera di raggiungere i bersagli grossi: l’Expo internazionale e i mondiali di calcio. Il piano prevederebbe anche l’organizzazione delle Olimpiadi estive, ma in quel caso bisognerebbe slittare al 2032.

Per il momento meglio mantenere l’attenzione sugli obiettivi realizzabili nel 2030. E in questo senso l’organizzazione del mondiale presenta un ostacolo non indifferente.

Secondo i regolamenti Fifa un continente non può tornare a ospitare la fase finale dei mondiali se non vengono disputate altrove almeno altre due edizioni.

E poiché l’Asia ha appena avuto il mondiale in casa propria, ecco che per gli arabi non se ne parlerebbe prima del 2034.

Ma loro vogliono assolutamente l’edizione del 2030 e per questo stanno mettendo in piedi l’escamotage: una candidatura in associazione con una federazione europea (Grecia) e una africana (Egitto). Sarebbe il primo caso nella storia di mondiale tri-continentale.

Bisognerebbe anche modificare le regole Fifa, ma figurarsi se quello è un problema. Si tratta di una prospettiva che, fra l’altro, inquieta la federcalcio portoghese. Che sta lavorando alla candidatura 2030 in associazione con Spagna e Ucraina e rischia di trovarsi contrapposto, come testimonial degli arabi, Cristiano Ronaldo.

Lo sport dell’era globale è anche questo: la patria è un asset da negoziare. Gli arabi lo sanno. E comprano cash senza nemmeno passare al tavolo delle trattative.

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