«Gli Stati Uniti hanno affermato di ritenere che Israele non colpirà l’Iran direttamente, ma si concentreranno invece sugli alleati», scrive The Times of Israel e non si capisce se è una notizia o piuttosto un auspicio per evitare l’escalation del conflitto.

La verità è che gli analisti e gli osservatori sono divisi sul tema. Anche la tv americana Cnn riporta che gli Stati Uniti si aspettano che la risposta militare di Israele agli attacchi dell’Iran sarà di portata limitata.

È evidente che questa è la questione decisiva del momento dopo il raid che ha rotto il tabù dell’attacco diretto iraniano a Tel Aviv, perché un conto è attaccare milizie e basi finanziate dall'Iran, un altro è attaccare il territorio iraniano, la “testa del serpente”, per usare la metafora cara alla estrema destra israeliana di Bezalel Smotrich e di Itamar Ben Gvir.

Siamo, dunque, al confronto emotivo e potenzialmente senza esclusione di colpi tra i due nemici della regione o c’è ancora spazio per la moderazione e i ragionamenti strategici per evitare il peggio?

Il prezzo del petrolio in calo sembra suggerire una de-escalation. Vero è che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha una grande opportunità di creare una alleanza sunnita anti-Teheran nell’area con sauditi, giordani e paesi del Golfo, ma potrebbe decidere di gettarla alle ortiche per guadagnare pochi mesi di sopravvivenza del suo governo in attesa del voto americano di novembre.

Oppure il premier israeliano potrebbe puntare a un raid di risposta molto severo che porterebbe l’Iran a reagire per la seconda volta in un breve lasso di tempo.

In questo modo un nuovo attacco iraniano gioverebbe molto al governo Netanyahu facendolo uscire dall’isolamento internazionale in cui era finito all’Onu, dopo le uccisioni dei sette cooperanti di World Central Kitchen e la conduzione devastante della guerra nella Striscia.

In questo quadro complesso, con numerose variabili sul tavolo, ci sono i servizi segreti statunitensi che suggeriscono che Israele starebbe valutando un attacco ristretto e limitato ma all’interno dell’Iran, perché Tel Aviv sente di dover rispondere con un’azione di pari importanza data la portata senza precedenti dell’attacco iraniano con 350 droni, missili cruise e balistici.

Il presidente americano Joe Biden, che secondo il Finacial Times ha incassato la stima del Fmi secondo cui gli Usa cresceranno del doppio rispetto ai paesi del G7, ha detto chiaramente che non parteciperà a nessun raid di reazione contro l’Iran e ha chiesto a Tel Aviv di essere preventivamente informato su cosa Israele deciderà di fare. Ma il rapporto tra i due alleati è molto sfilacciato.

«Speriamo che ci diano qualche avvertimento così da essere pronti a proteggere il nostro personale in tutta la regione», ha detto alla Cnn un funzionario dell'amministrazione americana.

«Ma non c'è alcuna garanzia che questo avverrà», forse per evitare nuove obiezioni da parte di Washington. Gli Usa comunque puntano a un’ipotesi dove Israele non risponde in assoluto al raid iraniano, una scelta che porterebbe a una riduzione della tensione nell’area.

Oppure ipotizzano che Israele risponda, ma colpendo bersagli minori degli alleati di Teheran come fatto da anni in una guerra nell’ombra mai dichiarata contro le milizie di Hezbollah, Hamas e Houthi.

Una soluzione di compromesso mentre sale la tensione negli Usa dove i manifestanti pro-Palestina hanno bloccato il traffico sul Golden Gate a San Francisco e in molte altre città americane.

I militari israeliani 

Il problema è che l’apparato di difesa israeliano preme per una risposta militare dura all'attacco dell'Iran e il premier Benjamin Netanyahu sembra deciso ad appoggiarlo.

Una fonte che ha partecipato al gabinetto di guerra, ha aggiunto ad Haaretz che la forte pressione internazionale su Israele avrà effetti sulla decisione. Secondo le previsioni e proprio in vista di questo aumento della pressione, il quotidiano Haaretz ha sostenuto che se c'è una finestra per compiere l'attacco questa si chiuderà tra pochi giorni.

L’Iran mostra i muscoli

Intanto l’Iran si dice pronto a reagire. «I sionisti farebbero meglio a comportarsi razionalmente, perché se dovessero intraprendere un'azione militare contro Teheran in risposta all'attacco dell'Iran contro Israele, siamo pronti a usare un'arma che non abbiamo mai usato prima», ha dichiarato il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento Abolfazl Amouei.

Una voce che paradossalmente invita a un raffreddamento del conflitto è quella di Vladimir Putin, che ieri ha parlato con il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, con il quale ha ulteriormente stretto i rapporti dopo l’invasione dell’Ucraina. 

Il presidente russo ha invitato tutte le parti a evitare un’escalation che porterebbe a conseguenze «catastrofiche» per la regione.

L’avvertimento di Grossi

ll direttore generale dell'Aiea, l’agenzia atomica dell’Onu con sede a Vienna, Rafael Grossi ha detto, parlando ai giornalisti a margine di un'audizione alle Nazioni Unite, che l'Iran ha chiuso i suoi impianti nucleari domenica per «motivi di sicurezza», li ha riaperti lunedì ma l'Aiea ha tenuto lontani i suoi ispettori dell'Aiea anche oggi e «riprenderemo domani».

Interrogato sulla possibilità di un attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani, l’argentino Grossi ha risposto: «Siamo sempre preoccupati per questa possibilità». E ha esortato a usare «estrema moderazione».

I siti atomici iraniani di Arak, Fordow o Natanz, dove si opera anche l’arricchimento dell’uranio utile a costruire una bomba atomica, potrebbero essere un possibile obiettivo del raid israeliano, ma senza l’appoggio americano l’impresa sarebbe di difficile realizzazione visto che i siti nucleari sono collocati in profondi tunnel sotto le montagne.

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