Oggi, sabato 11 novembre, la piccola Indi Gregory verrà staccata dalle macchine che la tengono in vita. L’ha deciso la Corte d’Appello di Londra. Ma questa è una brutta storia, in cui da una parte c’è Indi, che non parla perché ha solo otto mesi, e che mai potrà parlare dato che soffre di una grave malattia incurabile e progressiva che le sta attaccando il cervello e ogni altro organo del suo corpo.

Dall’altra ci sono tanti adulti che parlano e decidono per lei: Dean Gregory e Claire Staniforth, il papà e la  la mamma di Indi, straziati dal dolore, che la vogliono tenere in vita a tutti costi fanno di tutto per salvarla; gli avvocati che assistono quei genitori in una strenua battaglia legale; i politici italiani che la vogliono portare a Roma per curarla all’ospedale Bambino Gesù.

Indi non parla, però riesce a comunicare come sa: quando ha male, piange. Lo dice la sentenza che l’Alta Corte britannica ha emesso il 13 ottobre, firmata dal Giudice Robert Peel: «Indi prova un dolore significativo e stress molte volte al giorno, ed ogni episodio dura fino a dieci minuti». E questo cambia tutto.

Indi piange più volte al giorno, anche per dieci minuti, perché la sua patologia la fa sentire dolore. Indi ha pianto ogni volta che ha crisi cardiache e respiratorie – almeno tre le hanno fatto arrestare il suo piccolo cuore. Indi piange perché i tre tubi che la tengono in vita – un sondino in una narice che le fa arrivare il nutrimento nello stomaco, un tubo infilato nell’altra che le fa arrivare ossigeno nei polmoni, un terzo tubo in una vena del collo per iniettarle i farmaci – otto al giorno tra antiepilettici, sedativi e antidolorifici – le fanno male.

E più i medici cercano di tenerla in vita più Indi soffre: e questo dovrebbe invitare ognuno di noi al rispetto e alla pietà per questo essere indifeso.

La sentenza

Gli adulti anche ieri hanno deciso per lei. La Corte di Appello, presieduta dal Giudice Lord Peter Jackson, si è pronunciata sull’appello presentato dai genitori di Indi, assistiti dall'avvocato Bruno Quintavalle, che si erano opposti alla decisione presa dall’Alta Corte Britannica mercoledì scorso, che aveva stabilito che il trattamento di supporto che tiene in vita la piccola Indi Gregory doveva essere interrotto alle 14 di giovedì 9 novembre.

La Corte d’Appello ha emesso la sua sentenza. Il giudice ha affermato che l’appello era «interamente privo di merito», e ha espresso «una profonda preoccupazione» per i recenti sviluppi nel processo.

Lord Jackson ha affermato che i medici che hanno in cura Indi sono stati messi in una «situazione estremamente gravosa», e che «le tattiche processuali manipolatorie», adottate dagli avvocati dei genitori di Indi non saranno più tollerate.

Ha riconosciuto che Indi «è amata ferocemente» dai genitori, e ha e riservato parole di critica per l’intervento della autorità italiane. Giorgia Meloni e il ministro della Salute, Orazio Schillaci, hanno dichiarato che la sanità italiana è pronta ad accogliere Indi e i medici del Bambino Gesù assicurano che un supplemento di assistenza non «le causerà alcun dolore».

Invece, il giudice Jackson ha ribadito la piena validità della sentenza emessa dall’Alta Corte emessa il 13 ottobre e firmata dal giudice Robert Peel, il primo chiamato a pronunziarsi sul caso.

 Scrive il giudice: «Indi Gregory soffre di profonde patologie che comprendono aspetti metabolici, neurologici e cardiologici. È affetta da aciduria combinata D,L-2-idrossiglutarica, una devastante malattia metabolica che causa un danno progressivo al cervello; i suoi ventricoli cerebrali sono allargati in maniera grave a causa dell’accumulo di fluido spinale; è affetta da tetralogia di Fallot, che altera il normale flusso di sangue attraverso il cuore. I medici che la assistono ha richiesto l’autorizzazione a rimuovere le terapie intensive che la tengono in vita. Indi non ha prospettive di guarigione, la sua aspettativa di vita è molto limitata, i molteplici trattamenti che riceve le stanno causando alti livelli di dolore e di sofferenza, e Indi non mostra alcuna discernibile qualità di vita o interazione col mondo attorno a lei».

Condizioni irreversibili

La mamma e il papà di Indi si sono opposti alla decisione. «Sono genitori che vogliono che sia fatto tutto il possibile per curare Indi e prolungare la sua vita», scrive il giudice.

Poi, il giudice fa un resoconto dettagliato – che vi risparmiamo perché troppo doloroso – in cui descrive una lunga serie di crisi epilettiche, cardiache e respiratorie che hanno colpito Indi nel corso di questi mesi, alle quali ogni volta i medici hanno posto rimedio con terapie e procedure sempre più intensive e invasive.

«L’interezza delle evidenze mediche sono unanimi. Indi sarà permanentemente intubata. Le sue condizioni sono irreversibili e incurabili. I trattamenti attuali causano ad Indi dolore, la espongono a procedure dannose e a terapie che non forniscono alcun beneficio a lungo termine. La sua aspettativa di vita è severamente limitata e non ci sono terapie curative. Non ci sono prove mediche del contrario offerte dai genitori».

E qui il tono del giudice si fa grave, quasi paterno. «La devozione della famiglia di Indi è palpabile. Il loro dolore è quasi inimmaginabile. La vita di Indi ha valore in sé stessa, e c’è la presunzione che il suo stare in vita sia nel suo miglior interesse, ma questo non è un diritto assoluto. Tragicamente, Indi ha una malattia incurabile che, combinata con le altre sue patologie, condurrà a un fatale deterioramento entro, al massimo, pochi mesi anche se riceve piene cure intensive, e probabilmente pochi giorni se gli interventi invasivi sono sospesi. Oltre che a prolungare la vita, che in sé stessa ha un valore per il quale io nutro un alto rispetto, ogni trattamento è futile. Non ci sono terapie curative. Indi sta peggiorando progressivamente, ed è altamente instabile. Ha raggiunto il limite di quel che la medicina può ottenere. Non potrà mai guarire, e nemmeno mostrare piccoli miglioramenti. I suoi genitori non riconoscono il dolore che sta soffrendo perché la guardano attraverso la loro lente. Con un cuore pesante, sono giunto alla conclusione che il peso dei trattamenti invasivi superi i benefici. In breve, il dolore enorme provato da questa piccola dolce bimba non è giustificato se paragonato alla sua malattia incurabile, alla sua brevissima aspettativa di vita, all’assenza di ogni prospettiva di guarigione e al suo minimo contatto con il mondo attorno a lei. In mio giudizio, il suo migliore interesse viene servito permettendo ai medici di sospendere ogni trattamento intensivo».

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