Uno dei pochi punti che alle elezioni presidenziali del 2020 univano i programmi politici di Donald Trump e di Joe Biden era la necessità di un duro confronto con la Cina: per Trump la sfida andava accompagnata anche da toni molto accesi conditi da una retorica che echeggiava quella dei politici americani di fine Ottocento, quando il terrore dell’immigrazione cinese terrorizzava l’opinione pubblica statunitense.

I toni dell’attuale inquilino della Casa Bianca, invece, erano più sfumati, ma anche lui come l’avversario aveva in mente di attuare, come poi in parte è stato fatto negli anni del suo mandato, una politica di rientro del settore manifatturiero tecnologico dentro ai confini nazionali. Dove la produzione di certi componenti può diventare più costosa, ma anche più sicura.

Adesso le cose stanno un po’ cambiando, complice anche il clima internazionale particolarmente teso, ed è in quest’ottica, dunque, che è stato organizzato il meeting di ieri tra i due capi di stato, Biden e Xi Jinping, avvenuto a San Francisco a margine del Forum Economico Asia-Pacifico.

La missione

Prima di questo incontro decisivo però c’era stato un importante viaggio in Cina da parte di un esponente di primo piano del Partito democratico, il governatore della California, Gavin Newsom. L’amministrazione guarda con sospetto alcune sue mosse – come il viaggio in Cina, appunto – perché potrebbero essere parte di una specie di campagna presidenziale ombra per essere pronti a subentrare al presidente Biden qualora decidesse di ritirarsi per problemi legati all’età e ai sondaggi in picchiata.

La missione cinese del governatore, avvenuta l’ultima settimana di ottobre, aveva lo scopo ufficiale di «coordinare la lotta al cambiamento climatico, rafforzare i legami culturali» ma soprattutto la »promozione degli investimenti economici».

Pur nei toni paludati di un comunicato ufficiale, si riesce a leggere anche lo scopo ultimo del viaggio: «Rafforzare la nostra partnership sul clima tiene un canale aperto per tenere aperte altre linee di comunicazione».

E certamente Newsom non ha fatto mistero di cercare una distensione anche per conto del suo paese, tanto che durante una visita nella metropoli meridionale di Shenzen è salito su un auto a guida autonoma prodotta dal gruppo Byd, il maggior produttore cinese di veicoli elettrici.

Una scelta che è stata aspramente criticata dei repubblicani, che vedono le eccessive lodi del governatore alle caratteristiche qualitative del veicolo come dannose per le case produttrici americane di auto alimentate a batteria.

Segno forse che l’interdipendenza con la Cina è ancora forte e potrebbe anche essere rafforzata in futuro, tanto che lo stesso Newsom ha detto esplicitamente che «con Pechino il divorzio non è un’opzione». Una frase che fino a dieci anni fa sarebbe stata derubricata a motteggio di circostanza da seppellire all’interno di lunghe analisi specialistiche e che oggi invece segna un cambio di passo futuro.

Investimenti sospetti

Se per l’America nel complesso una riapertura economica nei confronti della Cina è ancora prematura, si può dire che la California non ha mai smesso di guardare oltre il Pacifico. Ancora nel 2022 si sono registrati 166 miliardi di scambi commerciali in ambo le direzioni, secondo i dati diffusi dalle agenzie statali del Golden State.

Alcuni investimenti però, destano qualche sospetto, come quello effettuato da una misteriosa compagnia immobiliare chiamata Flannery Associates, che ha acquistato un vasto terreno agricolo vicino alla base aerea di Travis, sita a nord dello stato e che secondo il deputato dem locale John Garamendi potrebbe nascondere cattive intenzioni spionistiche.

Al momento è solo un sospetto, rafforzato dal fatto che la società è registrata in Delaware, stato che non richiede di rivelare il nome del proprietario.

Ad ogni modo questo appare un dettaglio rispetto ai risultati di quanto attuato da Newsom solo qualche settimana fa, i cui toni entusiastici nei confronti della necessità di una salda relazione con la Cina gli hanno attirato pesanti critiche specie da parte della redazione economica di Fox News, che hanno visto quel viaggio come la prova che i dem sono a libro paga, o quasi, del maggior rivale economico degli Stati Uniti.

Quello che però ai repubblicani sembra indigeribile potrebbe essere necessario per evitare che la Cina finisca stabilmente nel blocco di quella che Biden ha chiamato la «saldatura tra autocrazie e terrorismo» e che ha come nemico comune l’egemonia americana.

Non è la prima volta che la città californiana ospita un arrivo di questo livello per ragioni distensive: nel settembre 1959 vide l’arrivo del leader sovietico Nikita Krusciov, con il quale gli Stati Uniti cercavano di risanare i rapporti, in un modo simile a quanto avvenuto ieri, pur senza dichiarazioni roboanti.
 

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