William Assani, un magistrato congolese che stava indagando per conto del governo di Kinshasa sulla sicurezza della zona in cui è avvenuto il tragico attacco lo scorso 22 febbraio che è costato la vita all’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, e l’autista Mustapha Milambo, è stato trovato ucciso lo scorso 2 marzo.

Nessun collegamento

A quanto ricostruito da alcune fonti locali, non sembra esserci alcun collegamento con l’inchiesta che il magistrato, assieme ad alti ufficiali dell’esercito inviati da Kinshasa, stava conducendo e quelle aperte per far luce sul triplice omicidio del 22 febbraio scorso. «Il giudice Assani del secondo ufficio militare della regione di Rutshuru (la zona dove si stava recando l’ambasciatore per portare aiuti alimentari a bordo della vettura del World Food Programme, ndr) – ha dichiarato a Domani un giornalista congolese che chiede di rimanere anonimo – viaggiava con due generali inviati da Kinshasa a Goma per condurre un’inchiesta sulla sicurezza dell’area. L’attacco è stato condotto da alcuni soldati appartenenti al 3416° reggimento che stavano di stanza nella zona e tendevano agguati». A quanto sembra, quindi ad attaccare il convoglio su cui viaggiavano Assani e gli ufficiali inquirenti, sono stati membri deviati delle Fardc, l’esercito congolese. Come purtroppo accade regolarmente, nelle regioni nord–orientali del paese, gruppi di militari costruiscono check-point illegali, obbligano chi transita sulla Rn 2 – la strada principale dove ha trovato la morte Attanasio – o altre a fermarsi per chiedere soldi, rapinare o tendere agguati. «Molti dei massacri che avvengono nella zona del Nord Kivu – spiega padre Gaspare Di Vincenzo, missionario comboniano a Butembo – avvengono vicino basi di militari sotto gli occhi o con la compiacenza di membri deviati dell’esercito. La popolazione e le ong denunciano da sempre la complicità di membri deviati dell’esercito congolese in molti drammatici eventi come stragi, stupri, razzie».

Sono tanti i processi aperti a carico di membri dell’esercito sospettati di complicità o di corruzione così come molti sono i sospetti riguardanti le vere appartenenze o affiliazioni dei militari. «Nel periodo tra il 1998 e il 2003 – spiega il giornalista – il Congo venne diviso in tre parti dalle forze ribelli e a seguito del dialogo intercongolese in Sud Africa (Sun City), i politici trovarono un accordo che prevedeva cinque diverse governance con un capo: Joseph Kabila e quattro vicepresidenti. Furono loro a optare per fondere i propri eserciti». Ma molti elementi restano leali a vecchi campanili.

In questo contesto, quindi, non è difficile immaginare che l’accaduto sia frutto di un attacco più dettato dalla paura che dalla premeditazione. I militari del 3416° reggimento, visto il convoglio con le insegne ufficiali in avvicinamento e sentitisi a rischio ispezione, avrebbero ingaggiato una prima sparatoria alla quale ha subito risposto la scorta armata degli inquirenti. Nello scontro a fuoco è rimasto ferito il colonnello Lumbu mentre è morto il generale Assami. Questa la ricostruzione ufficiale dell’esercito: «Fonti accreditate confermate dalla polizia, indicano che il veicolo su cui viaggiava Assami, ha rilevato due elementi del 3416° reggimento nell’atto presunto di una rapina a un minibus che trasportava aglio. Dopo aver derubato l’autista di tutto il denaro in suo possesso, i soldati hanno portato lo stesso verso la foresta. È stato proprio in quel momento che è arrivato, a quanto ricostruito, il veicolo con a bordo il procuratore e quando i soldati hanno capito di chi e cosa si trattasse, hanno aperto il fuoco. Assami è stato colpito tre volte sul collo ed è morto immediatamente mentre il Colonello Lumbu è rimasto ferito». Così si muore nel Kivu. Per un banale assalto a un furgoncino che trasportava aglio e per una manciata di soldi, possono rischiare di morire civili inermi così come ambasciatori, carabinieri e alti ufficiali.

La concomitanza temporale e locale, quindi, con l’attacco dello scorso 22 febbraio, sarebbe solo una fatale coincidenza. La sequenza, però, di due atti così gravi nel giro di pochi giorni spiega ancora meglio in quale contesto sia avvenuto l’agguato in cui hanno perso la vita Attanasio, Iacovacci e Milambo. È proprio lì, all’oscuro della ribalta internazionale, che si susseguono da decenni delitti efferati a ritmo quasi quotidiano.

Non possono che aumentare, quindi, i dubbi riguardo all’intera missione cui prendeva parte l’ambasciatore e, soprattutto, sulle scarsissime misure di sicurezza intraprese, a partire dall’incredibile decisione del Wfp e del dipartimento di sicurezza dell’Onu di dichiarare green la strada dove si sono verificati i tragici eventi.

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