L’ultimo record di caccia con la stella rossa in volo attorno a Taiwan (103 nelle 24 ore a partire dalle 6:00 di domenica) non rappresenta il migliore auspicio per far ripartire il dialogo ai massimi livelli tra Cina e Stati Uniti. Eppure, proprio mentre i jet dell’Esercito popolare di liberazione effettuavano le loro sortite, Wang Yi - capo della diplomazia e tra i più fidati consiglieri di Xi - discuteva a Malta con Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Usa Joe Biden. Una serie di incontri non annunciati, 12 ore di confronto durante le quali, sabato e domenica, le due delegazioni hanno parlato non solo di Taiwan. Il governo cinese ha puntualizzato che Wang ha ricordato a Sullivan che Taiwan «è la prima insormontabile linea rossa nelle relazioni Cina-Stati Uniti». Una bomba a orologeria che tra la pressione militare di Pechino, il quadro politico a Taipei e l’esasperato clima anti-Cina nel Congresso Usa rischia di far esplodere una nuova crisi internazionale.

Secondo il comunicato della Casa bianca, nel corso di colloqui definiti “franchi, approfonditi e costruttivi”, le due parti hanno affrontato «problemi chiave nelle relazioni bilaterali Usa-Cina, temi di sicurezza globale e regionale, la guerra della Russia contro l’Ucraina e le questioni tra le due sponde dello Stretto».

Dialogo serrato

Si punta a compiere qualche progresso su questi dossier, per permettere a Xi di volare a San Francisco per il vertice dell’Apec (14-16 novembre), dove dovrebbe incontrare Biden. I due presidenti si sono visti finora soltanto una volta, il 14 novembre 2022 a margine del G20 di Bali. Ma Xi, se non avrà nulla da offrire alla sua constituency senza diritto di voto e sempre più nazionalista, resterà a casa, come ha già fatto clamorosamente dieci giorni fa, saltando per la prima volta un vertice del G20. Ieri però Cina e Stati Uniti sono tornati a parlarsi anche all’Assemblea generale delle Nazioni unite, dove il vice presidente, Han Zheng, si è intrattenuto con il segretario di stato, Antony Blinken.

Pechino non ha alcun interesse a esasperare la tensione con Washington, in una fase in cui la seconda economia del pianeta rallenta e l’amministrazione di Xi è alle prese con i problemi politici evidenziati dalla rimozione, in un paio di mesi, di Qin Gang e Li Shangfu, che erano non soltanto i ministri degli esteri e della difesa, ma anche consiglieri di stato, membri del comitato centrale del partito e uomini di Xi: pezzi da novanta eliminati in circostanze che fanno pensare a tensioni nei vertici del partito comunista.

Ciononostante ogni passo avanti risulta complicato. Siamo tuttora allo stadio che la Casa bianca definisce come il tentativo di «mantenere aperte le linee di comunicazione e gestire responsabilmente la relazione» bilaterale.

I cinesi denunciano un cambiamento della politica statunitense, in favore di quelle che bollano come «forze secessioniste taiwanesi» (la presidente Tsai e il suo Partito progressista democratico, ndr) e una mancanza di rispetto nei confronti della nuova superpotenza, manifestata platealmente con la denuncia e l’abbattimento in diretta tv del pallone spia a largo delle coste statunitensi nel febbraio scorso. Taiwan e l’orgoglio nazionale, due questioni che s’intrecciano, due ostacoli difficili da superare sulla via del dialogo.

Putin al forum sulla Bri

Xi Jinping è invece già pronto ad accogliere Vladimir Putin, invitato al terzo forum sulla Belt and Road Initiative in programma il mese prossimo a Pechino. La Cina non fa parte dello statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale e dunque Putin, per la prima volta dall’invasione dell’Ucraina, potrà andare all’estero senza temere di finire in manette.

Anche per preparare questo viaggio ieri Wang è sbarcato a Mosca, dove ha incontrato il suo omologo Sergei Lavrov. Wang si tratterrà per quattro giorni nella capitale russa, dove, in occasione delle XVIII consultazioni di sicurezza strategica Cina-Russia incontrerà anche il consigliere per la sicurezza nazionale Nikolai Patrushev. Mosca e Pechino continuano a rafforzare il coordinamento su questioni globali e d’interesse comune nell’ambito della “partnership strategica onnicomprensiva” forgiata da Xi e Putin. Una quasi-alleanza che sta riscuotendo qualche successo, come l’ultima edulcoratissima dichiarazione ottenuta dal G20 sulla guerra in Ucraina. La portavoce del ministero degli esteri russo ha ricordato anche gli altri forum nei quali la Cina e la Russia si stanno muovendo sempre più “unite”. Maria Zakharova ha annunciato che Lavrov e Wang parleranno del «rafforzamento della cooperazione sulla scena mondiale con particolare attenzione al lavoro congiunto presso l’Onu, i paesi Brics, la Shanghai Cooperation Organization, il G20, l’Apec e altri forum». C’è attesa per una possibile dichiarazione congiunta di rifiuto di quella che viene definita «politica conflittuale del blocco occidentale» e dei suoi tentativi di «contenere lo sviluppo delle nazioni attraverso le sanzioni».

In uno scenario che rischia di assumere i tratti di una tragica riedizione della Guerra fredda, prima la Cina e poi la Russia, con la visita a Mosca di Kim Jong-un lo scorso fine settimana, hanno ostentato perfino l’alleanza col vecchio regime dei Kim.

Secondo Li Haidong, docente alla China Foreign Affairs University di Pechino, «il coerente allineamento tra Cina e Russia a livello strategico aiuta entrambe le parti a sostenersi a vicenda nella complessa situazione internazionale e a rispondere in modo più efficace alle diverse sfide». Anzitutto nel Pacifico occidentale, dove la settimana scorsa la Cina ha tenuto le sue più grandi esercitazioni militari di sempre con l’impiego di una portaerei (la “Shandong”), una risposta alla prima esercitazione navale congiunta di Stati Uniti e Filippine nel Mar cinese Meridionale. E venerdì scorso Pechino ha imposto nuove sanzioni per la vendita di armi a Taiwan, questa volta contro le statunitensi Lockheed Martin e Northrop Grumman.

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