La guerra nucleare non può essere vinta e pertanto non deve mai essere combattuta. Ad affermarlo sono Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e detentori di arsenali nucleari. Le cinque potenze atomiche ufficiali, in una dichiarazione congiunta inviata all’Onu, hanno ribadito il loro impegno a rispettare gli accordi del Trattato di non proliferazione del 1970, che prevede un limite alla diffusione delle armi nucleari e il loro progressivo smantellamento. Senza però mettere da parte la logica della deterrenza: fintanto che continueranno a esistere, le armi nucleari “dovrebbero servire per finalità difensive, scoraggiare l’aggressione e prevenire la guerra”.

Il monito delle potenze

Il messaggio delle potenze atomiche arriva alla vigilia della Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione, prevista inizialmente per il 2020 e rimandata ancora una volta di diversi mesi a causa dell’aumento di contagi da coronavirus. Durante l’incontro, i 191 stati firmatari dovrebbero discutere dello stato di avanzamento del Trattato e del rafforzamento degli arsenali nucleari portato avanti da alcuni paesi negli ultimi anni, Cina in primis. Secondo un documento pubblicato a novembre dal Pentagono, Pechino potrebbe avere 700 testate nucleari entro il 2027 e almeno mille entro il 2030. Un dato particolarmente preoccupante alla luce del recente aumento della tensione tra la Repubblica popolare e il governo di Taiwan, uno dei teatri che insieme a Medio Oriente e Ucraina preoccupa le grandi potenze.

Il documento congiunto però è anche un monito diretto a quegli stati che non hanno ancora ammesso ufficialmente di possedere l’arma nucleare e che non hanno mai siglato l’accordo di non proliferazione (Israele, India, Pakistan, e Corea del Nord), oltre che all’Iran. A fine dicembre sono ripresi a Vienna i colloqui per salvare l’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da Stati Uniti e Repubblica islamica e stracciato nel 2018 dal presidente Donald Trump, ma i risultati sono stati fino ad ora deludenti. La diffidenza tra le parti è maggiore rispetto al passato e le richieste dell’Iran, che vorrebbe l’annullamento di tutte le sanzioni, sono ritenute eccessive dagli Stati Uniti. Il fallimento dell’accordo sembra sempre più probabile, con conseguenze ben poco auspicabili e che nel peggiore dei casi prevedrebbero il ricorso alla forza da parte non solo dell’Iran, ma anche di Usa e Israele.

Il disarmo

L’impegno delle cinque potenze per prevenire conflitti nucleari potrebbero però non essere abbastanza. Per questo motivo il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha esortato gli stati dotati di armi atomiche a smantellare il proprio arsenale nucleare, nel rispetto di quanto previsto dallo stesso Trattato di non proliferazione. Attualmente si contano oltre 13 mila testate in tutto il mondo, di cui 2 mila in stato di massima allerta operativa, ossia pronte ad essere utilizzate.  

La richiesta di Guterres è da tempo al centro della campagna dell’International campaign against nuclear weapons (Ican), insignita nel 2017 del Premio Nobel per la pace per aver fatto approvare dall’Assemblea dell’Onu il bando all’atomica (Tpnw). Di questa coalizione fa parte anche l’italiana Rete pace e disarmo, promotrice insieme ad altre organizzazioni della campagna per il disarmo nucleare e dell’adesione dell’Italia al Trattato di proibizione delle armi atomiche.

L’Italia

Il nostro paese non possiede un arsenale nucleare, ma sul territorio italiano sono presenti almeno 35 testate B61, ospitate nelle basi Nato di Aviano e Ghedi nel rispetto di un accordo bilaterale firmato tra Roma e Washington. Una presenza che, secondo i dati dell’Osservatorio Milex, costa all’Italia tra i 20 e i 100 milioni di euro l’anno e che non potrebbe più essere giustificata se Roma decidesse di firmare il Tpnw. Il Trattato infatti prevede non solo la distruzione degli arsenali nucleari, ma anche il divieto di ospitare le armi atomiche sul territorio nazionale.

Attualmente, l’adesione dell’Italia al Tpnw è in discussione alla Camera dopo che già nel settembre del 2017 lo stesso ramo del Parlamento aveva approvato una mozione con la quale impegnava il governo a valutare la possibilità di aderire al trattato per il divieto delle armi nucleari. Una decisione che, secondo il sondaggio condotto da YouGov per Ican, sarebbe in linea con il parere dell’87 percento degli italiani, favorevoli per il 74 percento anche alla rimozione delle testate nucleari statunitensi attualmente presenti in Italia.

La posizione americana

Le discussioni sul nucleare interessano in questi mesi anche gli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha iniziato a settembre la revisione della politica Usa sugli armamenti nucleari e ci si aspetta un cambio di passo rispetto al precedente governo, con ricadute anche sul Concetto strategico della Nato. Trump, durante il suo mandato, aveva deciso di rafforzare le capacità nucleari del paese e il ricorso a questo tipo di armi in risposta all’incremento dell’arsenale atomico cinese, ma la sua scelta è stata spesso criticata da Biden. Il presidente democratico, prima della vittoria elettorale, aveva ribadito la necessità di usare questo tipo di armi solo a scopo di deterrenza, anche al fine di ristabilire la credibilità del paese quale leader nel controllo degli armamenti. Sotto l’amministrazione Trump si è infatti assistito all’uscita degli Usa dal trattato Inf, che proibiva a russi e americani di possedere missili nucleari a raggio intermedio, e dall’accordo Open Skies, che aveva dato vita a un regime internazionale di osservazione aerea dei movimenti militari e delle installazioni strategiche dei suoi firmatari. Obiettivo di Biden è quindi quello di ripristinare l’immagine degli Usa, rimediando ai danni causati dal suo predecessore.

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