L’incontro fra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e papa Francesco previsto per sabato rappresenta innanzitutto la fine di un equivoco e, forse, potrebbe costituire un passaggio diplomatico di un certo peso.

In primo luogo, il colloquio fra i due leader certifica la fine di una certa diffidenza da parte di Kiev verso la Santa sede: i ripetuti appelli compiuti dal pontefice alle parti belligeranti per porre fine alle ostilità sono stati visti sempre con malcelato fastidio dalle autorità ucraine, che hanno considerato gli interventi vaticani come una sorta di favore nei confronti del Cremlino perché di fatto, congelando la situazione sul campo, la Russia avrebbe tratto dei vantaggi territoriali dall’improvviso stallo bellico.

Relazioni difficili

Ma, più in generale, una certa tendenza del papa a mettere sullo stesso piano tutte le vittime del conflitto, i soldati ucraini e quelli russi per esempio, senza considerare che i secondi hanno aggredito un paese confinante colpendone le città e la popolazione (secondo quanto ha ricordato di recente l‘ambasciata ucraina presso la Santa sede) non è andata giù al governo Zelensky.

Tuttavia, ben difficilmente il Vaticano avrebbe potuto utilizzare un linguaggio e un approccio diversi se intenzione della diplomazia era quella di mantenere aperta una linea di dialogo anche con Mosca.

Probabilmente, nella diffidenza di Kiev ha avuto il suo peso anche una certa ritrosia del papa a riconoscere fin dal principio la responsabilità primaria della Russia nello scatenamento del conflitto.

Ancora, forse ha destato qualche sospetto il fatto che Francesco abbia sempre considerato il conflitto scoppiato ne cuore d’Europa, come un capitolo di quella “terza guerra mondiale a pezzi” che percorre il mondo, dall’Europa all’Africa, dall’Asia alle Americhe.

Col passare dei mesi, però, le parole di Francesco in favore della popolazione ucraina, definita incessantemente come “martire”, ripetute quasi in ogni occasione pubblica, sono state ascoltate anche in Ucraina.

Del resto, anche per Zelensky era importante recuperare il rapporto con un papa la cui autorevolezza morale è ampiamente riconosciuta a livello internazionale, e che comunque è a capo di quella chiesa capace di aiutare milioni di profughi in fuga dalla guerra.

Una nuova fase

In definitiva, il papa non può che sostenere la causa della pace (per quanto “giusta” o “fondata sul diritto” essa possa essere), e mantenere viva l’attenzione verso quelle vittime civili che sono quelle che, in ogni conflitto, pagano il prezzo più alto della guerra.

Va anche detto che ora l’incontro con Zelensky apre una nuova fase di dialogo: se infatti il papa ha sempre ripetuto che sua intenzione era parlare con entrambi i leader – il capo del Cremlino e il presidente ucraino – senza privilegiare nessuna delle due parti, ora questo equilibrio si è rotto, vedremo se si ricomporrà aprendo la strada a un colloquio ad alto livello fra Francesco e qualche esponente russo.

Non per caso questa volta la smentita che il faccia a faccia fra Bergoglio e Zelensky rientrasse nella strategia vaticana per aprire un negoziato è arrivata dall’agenzia ufficiale russa, la Tass, per la quale l’incontro di sabato non è direttamente legato all’iniziativa di pace vaticana; secondo la Tass, che cita una fonte anonima d‘Oltretevere, il Pontefice incontra abitualmente capi di stato che ne facciano richiesta. Insomma, da parte russa si tende a minimizzare.

Vaticano e diplomazie

Di recente il papa ha già incontrato il premier ucraino Denys Shmyhal, poco prima di partire per l’Ungheria, quindi lo scorso 11 maggio ha ricevuto l’ambasciatore della Federazione russa presso la Santa sede, Alexander Avdeev, in visita di congedo, e ora è la volta di Zelensky.

Da una parte questo attivismo è la conferma della capacità di dialogo a tutto campo, dall’altra però è presto per parlare del Vaticano come mediatore nel conflitto. Le implicazioni della guerra in Ucraina, infatti, sono estremamente complesse sia sul piano del teatro bellico, quindi dei problemi territoriali e di tracciamento dei confini che inevitabilmente si porranno, sia per quanto attiene alle ripercussioni politiche, in particolare in Russia dove lo stesso destino di Putin è in un certo modo legato all’esito della guerra.

Senza contare quella che potrebbe essere la reazione di altre regioni e stati posti sotto l’ombrello russo se dovesse prendere piede l’esempio ucraino. E’ più probabile, dunque, ipotizzare un ruolo della Santa sede come uno dei soggetti in campo – in collaborazione con altre cancellerie e potenze regionali e mondiali – per sviluppare una strategia che porti a un primo compromesso, magari sfruttando l’impegno umanitario che il Vaticano ha messo in atto fino ad sabato e che ha consentito di tenere aperta una linea di comunicazione fra Mosca e Kiev.

In tal senso, la diplomazia d’Oltretevere potrebbe fungere da tramite e giocare un ruolo di facilitatore per un possibile avvio dei negoziati. E se qualche segnale in tal senso arriva a livello internazionale, la guerra sta infatti influenzando negativamente l’andamento dell’economia a livello globale mentre da oriente e occidente si avvertono segni di stanchezza, è anche vero che il conflitto per ora non accenna a diminuire d’intensità, così come gli stanziamenti per gli armamenti con cui rifornire Kiev.  

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