Parlando la scorsa settimana, Stella Assange, moglie del fondatore di WikiLeaks, ha affermato che la decisione sull’estradizione negli Usa è una questione di vita o di morte e che i suoi avvocati si rivolgeranno alla Corte europea dei diritti dell’uomo per un’ingiunzione di emergenza, se necessario.

«La sua salute è in declino, fisicamente e mentalmente», ha detto. «La sua vita è a rischio ogni singolo giorno che trascorre in prigione – e se verrà estradato morirà». Citando il rischio di suicidio, la giudice britannica Vanessa Baraitser ha rifiutato in un primo momento di dare il via libera all'estradizione negli Usa.

Ma questa decisione è stata successivamente ribaltata. Il fratello di Assange, Gabriel Shipton, ha paragonato il fondatore di WikiLeaks ad Aleksej Navalny, l'attivista dell'opposizione russa morto in prigione venerdì mentre scontava una pena di tre decenni. Questa è la posizione della famiglia, ma ci sono anche forze politiche che sostengono questa analogia tra Navalny e Assange.

«Invitiamo tutti coloro che erano in piazza del Campidoglio a manifestare per Navalny, da Carlo Calenda, a Roberto Gualtieri agli esponenti di Lega e Fratelli d'Italia, a essere coerenti con quanto affermato a favore della libertà di pensiero e quindi a fare lo stesso per Assange, giornalista detenuto senza processo e a rischio estradizione», hanno detto alcuni consiglieri capitolini del M5s che hanno organizzato anche un sit-in di protesta davanti all’ambasciata britannica a Roma.

I sostenitori del fondatore di Wikileaks lo vogliono accostare al dissidente russo ucciso, di cui la madre martedì ha chiesto il corpo in un video toccante indirizzato a Vladimir Putin. Dicono che il martire della libertà in America farà la stessa fine. L'analogia però non convince fino in fondo, per varie ragioni, ma soprattutto perché la scelta consapevole di Navalny è stata quella di fare il dissidente dall'interno del sistema, non di andare in esilio.

È questo cha ha qualificato la sua azione politica. Così come è avvenuto anche in Bielorussia dove un giornalista e attivista dell'opposizione bielorussa, Igar Lednik, è morto nel carcere dove stava scontando una pena per aver diffamato il presidente Aleksandr Lukashenko. Lo hanno annunciato il suo ex partito e una Ong. «Igor Lednik, ex membro del Partito socialdemocratico bielorusso (Gramada), attivista e giornalista, è morto in prigione all'età di 64 anni», si legge su Telegram.

Macchina della repressione

Dunque la macchina della repressione marcia a tutto vapore in Bielorussia dopo le elezioni presidenziali del 2020 vinte da Alexander Lukashenko, al potere dal 1994 e fedele alleato di Vladimir Putin. Di fronte a queste sfide epocali il fronte liberale e anti-stati autoritari deve essere compatto ed evitare divisioni inutili. Vero è che una delle rivelazioni più drammatiche di Wikileaks è stata la ripresa video di un attacco in elicottero da parte delle forze statunitensi che ha ucciso 11 persone in Iraq, tra cui due giornalisti della Reuters.

Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha recentemente affermato che gli australiani di ogni convinzione concordano sul fatto che sulla questione Assange, australiano di nascita, «si è raggiunto il limite». All'inizio di febbraio, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, l'esperta indipendente Alice Jill Edwards, ha invitato il governo britannico a sospendere la procedura di estradizione, in nome dei suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani: «Julian Assange soffre da tempo di disturbi depressivi periodici ed è stato valutato a rischio di suicidio».

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I suoi sostenitori, tra cui l'artista dissidente cinese Ai Weiwei e la defunta stilista Vivienne Westwood, hanno affermato che le accuse erano politicamente motivate. Nils Melzer, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, ha condannato le condizioni della prigione Belmarsh di Londra, dove è detenuto Assange, affermando che «le sofferenze sempre più gravi che gli vengono inflitte» equivalgono alla tortura.

Ma la scelta del fondatore di WikiLeaks, il sito di denuncia che ha rivelato segreti governativi in tutto il mondo, in particolare file militari e diplomatici statunitensi relativi alle guerre in Iraq e Afghanistan, e che ha trascorso più di dieci anni in custodia o rinchiuso nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, cercando di evitare l'estradizione, prima in Svezia per rispondere alle accuse di stupro, e poi negli Stati Uniti, è stata quella dellopposizione in esilio.

Scelta legittima, ma se Assange vuole davvero ispirarsi, come dicono alcuni suoi sostenitori, a Navalny, allora dovrebbe accettare l'estradizione. Oppure meglio evitare di fare paragoni inappropriati.

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