Quello che sta accedendo agli uiguri nel nord ovest della Cina ricorda lo spietato sradicamento di altre culture native sotto l’occupazione dei coloni, in particolar modo delle popolazioni indigene delle Americhe e dell’Australasia. L’intento del governo cinese non è necessariamente di farli fuori, ma di allontanarli forzatamente dalla loro terra, decimare le loro tradizioni, disconnetterli dalla propria patria e dalla propria identità: lo si può descrivere come “genocidio culturale”. Le strategie utilizzate contro le popolazioni indigene musulmane nella regione dello Xinjiang comprendono la reclusione di massa, la separazione delle famiglie, i lavori forzati, lo sfollamento, il meticciato forzato, la sterilizzazione involontaria e la distruzione linguistica e culturale.

Per mantenere la promessa di «guidare il mondo democratico», l’amministrazione Biden deve affrontare con urgenza quella che è tra le più gravi crisi dei diritti umani del nostro tempo. La campagna del governo cinese, supportata dalla sorveglianza di massa per mezzo di tecnologie elettroniche e biologiche all’avanguardia, non è solo un orrore di per sé. È un monito sull’oppressione, guidata dalla tecnologia e dalla profilazione razziale, contro cui dobbiamo opporci.

Le mosse da fare

Per l’influenza e il potere economico crescenti della Cina, affrontare la persecuzione degli uiguri sarà difficile per l’amministrazione Biden, già appesantita dal compito di ricostruire i rapporti dopo il distruttivo approccio “America First” di Trump. A ogni modo l’amministrazione Biden può fare pressioni sulla Cina in tre mosse:

rafforzare e modificare le sanzioni imposte precedentemente dall’amministrazione Trump; adottare un po’ dell’umiltà della Casa Bianca di Obama, creando ampie coalizioni internazionali; essere più audace dell’amministrazione Obama nel sostenere i diritti civili e la democrazia sia in patria che all’estero.

L’amministrazione Trump è stata critica del trattamento che la Cina ha riservato agli uiguri e il segretario di stato Mike Pompeo, nel suo ultimo giorno in carica, ha ufficialmente definito le azioni di Pechino «genocidio». Finora la maggior parte delle azioni dell’amministrazione Trump sul tema sono state quelle stabilite dal Congresso, che a giugno ha approvato la legge sulla politica dei diritti umani degli uiguri quasi all’unanimità, il che ha costretto l’amministrazione a sanzionare i funzionari e le società cinesi impegnate in pratiche che violano i diritti degli uiguri. Trump ha generalmente rispettato questi obblighi, ma ha collegato la repressione degli uiguri alle disparità commerciali tra Stati Uniti e Cina, mandando un segnale che si trattava più di rivalità geopolitica che di diritti umani.

L’amministrazione Biden dà segnali di voler adottare una posizione dura su questo tema. Nelle udienze di conferma il segretario di Stato entrante, Antony Blinken, ha detto di essere d’accordo con Pompeo. «Forzare uomini, donne e bambini nei campi di concentramento, cercare, di fatto, di rieducarli ad aderire all’ideologia del Partito comunista cinese: tutto questo dice del tentativo di commettere un genocidio», ha detto Blinken.

Tuttavia Biden dovrebbe essere più orientato all’azione e meno su una turbolenta retorica anti-cinese. Dovrebbe incoraggiare ulteriori azioni legislative e spingere il Senato ad adottare la legge anti-lavori forzati degli uiguri, approvato dalla Camera a settembre per impedire che le merci prodotte con il lavoro forzato degli uiguri entrino negli Usa. Questo provvedimento sarebbe più forte delle sanzioni esistenti e danneggerebbe economicamente di più Pechino, ma andrebbe a toccare anche le società statunitensi che operano in Cina e questa è la ragione per cui è stato contrastato. Se la Casa Bianca di Biden appoggiasse queste sanzioni, manderebbe il segnale che i diritti umani precedono i profitti aziendali e che quella uigura è una questione di principio prima che di concorrenza geopolitica ed economica.

Una coalizione

La tendenza di Trump a collegare la condanna della persecuzione alla concorrenza geopolitica ha attenuato l’indignazione internazionale. Il governo cinese ne ha tratto vantaggio, suggerendo che le accuse dell’estirpazione culturale degli uiguri non fossero che propaganda anti-cinese intesa a garantire l’egemonia globale dell’America. Argomenti simili possono non essere convincenti per i tradizionali alleati democratici degli Stati Uniti, ma sono stati più persuasivi nei paesi in via di sviluppo, specialmente negli stati a maggioranza musulmana, dove il ricordo delle false accuse americane sulle armi di distruzione di massa in Iraq rimane vivido. Per questo motivo gli Stati Uniti non possono essere l’unica guida di una coalizione per affrontare ciò che sta accadendo tra gli uiguri. Ma può, e deve, assumere un ruolo centrale nel promuovere quella coalizione; un approccio utilizzato dall’amministrazione Obama per l’epidemia di ebola e il cambiamento climatico. Rimane l’unico approccio per affrontare una crisi dei diritti umani in un mondo multipolare, specialmente quando la crisi è creata da uno degli stati più potenti del mondo.

A prima vista il piano di Biden di convocare un vertice delle democrazie mondiali il prossimo anno rappresenta un’opportunità perfetta per iniziare a costruire una coalizione. Per spingere altri stati all’azione Biden deve portare a termine gli affari incompiuti dell’amministrazione Obama, riabilitando gli Stati Uniti come il difensore dei diritti umani e della democrazia all’indomani dell’avventurismo militare di Bush.

Biden sa che dopo il caos e le agitazioni degli anni di Trump, l’America deve affrontare questioni di legittimità quando si tratta di diritti e democrazia. I piani di politica estera si riferiscono direttamente a questioni interne e comprendono la necessità di ridurre il razzismo, mantenere l’integrità delle elezioni americane e combattere la corruzione. Sebbene siano obiettivi importanti se si vuole che gli Stati Uniti diano il buon esempio, è improbabile che questi possano richiamare gran parte degli stati a maggioranza musulmana, che sono vitali per sollevare il problema del trattamento della Cina nei confronti degli uiguri. Per dare davvero l’esempio, l’amministrazione Biden deve ripensare le politiche antiterrorismo perché siano all’altezza delle più alte aspirazioni dei valori americani e allo stesso modo tengano conto della minaccia limitata che il terrorismo di ispirazione islamica rappresenta oggi per gli Stati Uniti.

Questione di credibilità

La guerra globale al terrorismo guidata dagli Stati Uniti ha contribuito enormemente a dissipare la reputazione che l’America aveva negli anni Novanta di protettrice dei diritti e della democrazia nel mondo. L’uso da parte degli Usa di tortura, detenzione extralegale, assassinii per mezzo dei droni e profilazione razziale e religiosa hanno offerto a Pechino litanie di scuse per distogliere l’attenzione dalle critiche americane sulla persecuzione degli uiguri. La Cina circoscrive la campagna contro il popolo uiguro come uno sforzo antiterroristico, giustificandosi con il riconoscimento da parte dell’amministrazione Bush nel 2002 di un poco noto gruppo uiguro come organizzazione terroristica per volere di Pechino.

I documenti di politica estera dell’amministrazione Biden parlano di concludere le guerre in Iraq e Afghanistan. Ma se l’America vuole riguadagnare la credibilità per respingere i governi autoritari che abusano delle accuse di terrorismo per sopprimere gli oppositori, deve rivalutare la sua condotta nella guerra contro il terrorismo. Ciò implica riconoscere gli eccessi passati della guerra e garantire che l’antiterrorismo non sia una scusa per sospendere i diritti umani. Le due azioni immediate che può intraprendere per inviare un tale messaggio sono l’interruzione della sorveglianza militare sui musulmani in America e la chiusura di Guantanamo.

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