Il presidente americano Joe Biden ha una lunga esperienza da senatore dedito alla politica estera, cosa che potrebbe rivelarsi utile nel gestire e limitare la possibile escalation militare. Per gran parte della sua vita politica è stato quello che nel 2008, quando venne scelto da Obama come suo vicepresidente, venne descritto dal presidente del Jewish National Democratic Council Ira Forman in questi termini: «Nessuno conosce i problemi, nessuno è così impegnato a difendere Israele e preservare la sua sicurezza come il senatore Joe Biden».

Sin da quando entrò al Senato nel 1972 si legò alla causa dello stato ebraico, incontrando la premier Golda Meir durante un viaggio insieme ad altri membri della Commissione Esteri. Definì il meeting «decisivo per la sua carriera politica». Anche negli anni successivi il futuro presidente si definì senza problemi come sionista e disse di ritenere l’antisemitismo una delle principali minacce alla sicurezza degli Stati Uniti.

Ha sempre ribadito anche i suoi legami stretti con l’Aipac, la principale lobby che sostiene le politiche dello Stato ebraico presso il Congresso, anche se ha ribadito nei primi anni da vice di Barack Obama che la sua posizione è «leggermente diversa».

Perché il suo sostegno non è stato incondizionato: ad esempio ai tempi della presidenza di Bill Clinton ha sempre appoggiato gli sforzi americani di avere un ruolo proattivo e sostenere la costituzione di uno stato palestinese. È anche stato fortemente critico del sostegno incondizionato offerto dall’amministrazione Trump alle politiche espansive delle colonie nei territori palestinesi promulgate dai vari governi guidati da Benjamin Netanyahu, critiche che però ha sempre definito «costruttive».

Le posizioni di Biden

Non sono state gradite dal governo di Tel Aviv nemmeno le soluzioni proposte di procedere verso uno smantellamento degli insediamenti illegali, posizione esplicitata nel maggio 2009 a un’iniziativa dell’Aipac, dicendo che sono un serio limite alla sicurezza di Israele. Nello stesso discorso affermò anche che lo stato ebraico avrà di sicuro tutto ciò di cui ha bisogno, pur senza ottenere «tutto quello che chiede».

Negli anni successivi Biden ha taciuto queste sue posizioni per non mettere in pericolo la strategia obamiana di apertura nei confronti dell’Iran, mossa pesantemente criticata anche dallo stesso Netanyahu che, invitato a parlare al Congresso nel febbraio 2015, rifiutò un incontro alla Casa Bianca.

Da candidato alla presidenza Biden ha ribadito le sue posizioni originarie, dicendo che le critiche che sono state fatte al premier, come ad esempio la sua svolta favorevole all’ingresso di elementi di estrema destra nel suo governo, non impediranno di fornire armi a Tel Aviv.

E il fatto che Netanyahu abbia attivamente contribuito alla campagna elettorale di Trump, esaltandone le doti di statista in occasione della firma degli accordi di Abramo con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain il 15 settembre 2020, non ha cambiato di una virgola le idee di Biden, che ha continuato a perseguire una politica di vicinanza con Tel Aviv, nonostante le critiche provenienti dalla sinistra radicale.

Il duplice ruolo

Ad esempio, lo scorso marzo 2023 una lettera firmata dal senatore Bernie Sanders e dal deputato Jamaal Bowman chiedeva un’indagine sull’uso degli armamenti americani da parte di Israele contro i palestinesi. Missiva di fatto ignorata. Queste frizioni ora ancora più lontane e il presidente americano ora sta facendo pesare il suo duplice ruolo di sostenitore strenuo dello stato ebraico per oltre cinquant’anni e di possibile mediatore per evitare sia un’escalation militare che una catastrofe umanitaria.

Se le sue doti di tessitore di alleanze hanno funzionato bene al Congresso, difficile dire se si otterranno risultati anche in un’area che ha fiaccato gli sforzi del suo predecessore Bill Clinton, che finì il suo mandato vedendo iniziare la seconda Intifada negli stessi giorni in cui il futuro premier Ariel Sharon reclamava la sovranità israeliana sulla spianata delle moschee a Gerusalemme.

La sua presa di posizione sull’esplosione avvenuta nell’ospedale di Gaza, di netto rifiuto della possibilità di un missile israeliano, potrebbe mettere in pericolo gli sforzi di pacificazione.  

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