C’è un punto sul quale il progressismo americano si arresta. Lo ha raccontato bene lo scorso anno il New York Times, in un podcast in cinque episodi, Nice White Parents, simpatici genitori bianchi.

L’idea alla base della serie è che quando si osserva l’innegabile diseguaglianza nel sistema educativo in America, ci si trova sempre davanti a discorsi, proposte e riforme che mettono al centro le fasce più discriminate e svantaggiate, ovvero i bambini che vivono in povertà e appartengono a minoranze.

Non si presta invece alcuna attenzione al potere di coloro che il Times definisce «probabilmente la maggiore forza nelle nostre scuole»: i genitori bianchi.

Il test della Virginia

Il podcast è uscito già da oltre un anno, nell’estate del 2020, e la storia riguarda una vicenda di segregazione in un liceo di Brooklyn, prima della pandemia.

Ma il messaggio, alla luce della crisi del sistema scolastico di questo ultimo anno e mezzo, è più che mai valido: sull’educazione dei figli i genitori bianchi – anche quelli che si professano progressisti – non fanno compromessi.

Lo ha capito bene il neoeletto governatore della Virginia, il repubblicano Glenn Youngkin, che ha ottenuto voti decisivi facendo leva sulla frustrazione e la rabbia accumulata dai genitori durante i mesi della pandemia.

La sua clamorosa vittoria contro il democratico Terry McAuliffe, già governatore della Virginia dal 2012 al 2016, si è imposta agli occhi di osservatori e analisti come un apripista per tutto il Partito repubblicano.

In vista delle prossime elezioni di midterm, intorno al tema dell’educazione si è così aperta una strada che sembra riuscire a tenere insieme le due anime del partito, quella ancora legata a Donald Trump e quella che proprio per disprezzo nei confronti di Trump si è allontanata. 

L’assist è stato offerto involontariamente dallo stesso McAuliffe, nel corso di un dibattito televisivo a fine settembre. «Non penso che i genitori debbano dire alle scuole cosa devono insegnare», ha detto.

La sua dichiarazione si riferiva a quando – da governatore –  aveva bloccato una proposta di legge che intendeva bandire dai programmi scolastici una serie di letture considerate traumatizzanti da un gruppo di genitori e legislatori conservatori.

Tra i libri incriminati c’era anche Beloved, un romanzo della scrittrice afroamericana Toni Morrison, che tratta di traumi e eredità della schiavitù. Quella frase, estrapolata dal contesto, è stata utilizzata da Youngkin e dagli organizzatori della sua campagna, per convincere l’elettorato – centinaia di migliaia di genitori bianchi – che se volevano essere ascoltati e accontentati avrebbero dovuto scegliere lui.

Guerra culturale

Youngkin si è rivolto a genitori esausti, messi in seria difficoltà da una didattica distanza che in Virginia si è protratta più che in altri stati, per quasi un anno nonostante agli insegnati fosse stata data priorità per i vaccini. È forse troppo presto, giudicare le scelte dei sindacati degli insegnanti. Ma è anche troppo tardi per dare rassicurazioni: per mesi i genitori si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni, in balia delle decisioni di sindacati che storicamente appoggiano il Partito democratico.

Poche settimane prima del voto, lo stesso McAuliffe si è fatto vedere con Randi Weingarten, il presidente della American Federation of Teachers, il secondo più grande sindacato di insegnati negli Stati Uniti.

Come nota l’Atlantic, dall’inizio della pandemia nella più grande contea dello stato, Fairfax County, hanno abbandonato la scuola più di 10mila studenti, ovvero il 5 per cento del totale. Una cifra non alta rispetto ad altre zone degli Stati Uniti, ma che qui è particolarmente significativa perché Fairfax County è uno di quei luoghi in cui le famiglie si trasferiscono proprio per la qualità delle scuole pubbliche.

Vivere in una certa zona – in certi casi anche in un tratto di strada piuttosto che in un altro – può determinare il diritto di iscriversi in una scuola con una buona reputazione: la geografia delle scuole pubbliche negli Stati Uniti assume così un peso enorme. Determina l’evoluzione delle città, l’espansione, ascesa o declino dei sobborghi, il costo degli immobili e in ultima analisi il futuro dei bambini.

Youngkin lo ha capito e dopo mesi di delirio scolastico si è impegnato a dare ai genitori bianchi l’impressione che potessero riprendere la situazione sotto controllo. Non solo a livello di frequenza, ma anche sul fronte della guerra culturale che minaccia la conservazione di un certo status.

Mentre McAuliffe si faceva scappare di bocca che i genitori non hanno potere decisionale su cosa le scuole possono insegnare, Youngkin parlava dei loro «diritti fondamentali» e rassicurava l’elettorato sul fronte della “critical race theory”, ovvero quel filone accademico nato quarant’anni fa che studia come il razzismo non sia un semplice pregiudizio personale, ma sia strettamente legato alla struttura sociale ed economica del paese, e dunque anche a quello che viene insegnato nelle scuole.

Uno degli spot pro Youngkin più popolari aveva infatti come protagonista la madre da cui era partita la campagna per eliminare il romanzo Beloved dal programma scolastico.  Un altro dei suoi spot riprendeva invece una vicenda di cronaca, la violenza sessuale nei confronti di una ragazza in un bagno di una scuola.

Era apparsa la notizia, non confermata, che l’assalitore fosse genderfluid e Youngkin ha colto l’occasione per denigrare le norme che rispettano l’identità di genere degli studenti, lasciando loro scegliere in quale bagno andare in base al genere in cui si riconoscono. 

Insomma, il nuovo governatore della Virginia ha intercettato uno degli effetti di questa pandemia e ha saputo dare, seppur ancora superficialmente, delle rassicurazioni, tanto ai genitori bianchi della Virginia quanto al suo partito a Washington.

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