La decisione di Mitt Romney di non ricandidarsi per un secondo mandato come senatore repubblicano dello Utah è arrivata a sorpresa, ma non troppo. Difficile che un critico implacabile di Donald Trump, che ha votato per due volte a favore della sua condanna durante i due processi di impeachment che si sono svolti alla fine del suo mandato presidenziale, potesse vincere nuovamente le primarie contro uno sfidante presumibilmente più vicino all’ex inquilino della Casa Bianca in uno stato così profondamente repubblicano.

La questione però non si può liquidare in quattro parole: l’uscita di Romney è sintomo di un malessere che coinvolge quei senatori e deputati che sono maggiormente propensi a impegnare il loro tempo non già per diventare campioni della rispettiva parte politica a colpi di dichiarazioni roboanti, ma per realizzare accordi bipartisan per approvare leggi che si presumerebbero di una certa importanza. Lo stesso senatore ha dichiarato in un intervista al Washington Post che il gruppo che nel corso degli ultimi due anni ha contribuito ai successi legislativi dell’agenda Biden si sta sfaldando è che è tempo di “nuovi leader”.

C’entra anche l’età di Mitt Romney, classe 1947, che alla fine di un eventuale secondo mandato avrebbe compiuto 85 anni. Ma anche l’orientamento legislativo. Entro la fine dell’anno sapremo anche se avranno deciso di seguirlo due suoi colleghi dem con cui ha lavorato molto nel corso degli ultimi anni, Joe Manchin del West Virginia e Kyrsten Sinema dell’Arizona. Manchin dovrebbe decidere se correre nel 2024 in quello che con ogni probabilità è diventato lo stato più conservatore dell’Unione, dove è facile prevedere una vittoria di Donald Trump con un distacco a doppia cifra. Una sfida quasi impossibile per chiunque, ma non per lui, che già nel 2018 era riuscito a sopravvivere a una sfida complicata. Manchin di sicuro non verrebbe rimpianto dai suoi colleghi progressisti, ma senza di lui non sarebbe passato nessun disegno di legge nel primo biennio del presidente Biden.

E in sua assenza ci sarebbe un membro del partito repubblicano. Stesso discorso per Sinema, nel frattempo fuoriuscita dal partito ma rimasta nel gruppo al Senato, che dovrà vedersela con un liberal come il deputato dem Ruben Gallego e un estremista ipertrumpiano in quota repubblicana, non sappiamo se l’ex giornalista Kari Lake o l’imprenditore Blake Masters. In sostanza, il gruppo di una decina di senatori dovrebbe restringersi non poco. A pendere sui destini del Senato poi c’è anche la salute del leader repubblicano Mitch McConnell, sgradito a Trump e alla sua cerchia, che dopo il 2024 potrebbe venire sostituito da qualcuno meno incline ai compromessi e più ideologico come il senatore della Florida Rick Scott, già autore di un manifesto ideologico per le scorse elezioni di metà mandato criticato per l’eccessivo estremismo ideologico. Una situazione non rosea per chiunque vinca le elezioni del prossimo anno, dato che la soglia di 60 senatori, necessaria per approvare la maggior parte delle leggi escluse l’approvazione delle nomine presidenziali e il budget annuale, rimarrà al suo posto. E alla Camera dei Rappresentanti, dove già oggi lo speaker repubblicano Kevin McCarthy è ostaggio dei desiderata di una ventina di sostenitori dell’ex presidente, non si preannuncia migliore, soprattutto qualora la maggioranza rimanga così risicata come dopo l’ultima tornata elettorale.

Già oggi si riscontra un sostanziale blocco dell’attività congressuale per via di diverse circostanze concomitanti: non solo l’inizio dell’indagine che potrebbe portare all’impeachment del presidente Biden per il suo presunto coinvolgimento negli affari lobbistici del figlio Hunter, ma anche per l’assenza di qualsiasi tipo di accordo per votare entro la fine del mese una legge di spesa che eviti un nuovo shutdown del governo federale e per il blocco che dura settimane delle nomine militari dal parte del senatore repubblicano dell’Alabama Tommy Tuberville, in ragione della sua opposizione alla permanenza del diritto d’aborto in quelle basi militari che si trovano negli stati che invece lo proibiscono. Una situazione già complicata che andrà sempre più peggiorando. E di sicuro non sono in arrivo nuove leve inclini alla trattativa e al compromesso.

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