Gli anni Settanta non hanno lasciato un buon ricordo negli Stati Uniti d’America, non solo per la sconfitta nella guerra del Vietnam che mise in evidenza il limite del più grande apparato militare mai creato nella storia.

Furono anni in cui l’America doveva decidere cosa volesse essere: se ridimensionarsi e pensare alla sostenibilità ambientale e a ridurre i consumi oppure rilanciarsi con una politica estera muscolare accompagnato dal sostegno della domanda interna. Sappiamo tutti com’è andata, ma non era affatto scontato.

Un esempio è il conflitto tra pubbliche amministrazioni e multiutility private. Proprio di una di queste vicende parla The Division of Light and Power, l’ultimo libro scritto da Dennis Kucinich, vecchia conoscenza della sinistra americana, che parla della sua esperienza come sindaco di Cleveland, in Ohio, dal 1977 al 1979, e della sua lotta per mantenere il controllo pubblico della società elettrica cittadina, Muny Light.

Kucinich, che dopo essere stato sindaco divenne deputato al Congresso dal 1996 al 2013, già allora si costruì la sua fama di agitatore politico e di combattente senza paura, che ha anche la sfortuna di affrontare una corruzione dilagante e che descrive con toni grotteschi da anticasta, con i dipendenti del municipio che lasciano squillare i telefoni a vuoto.

Questa sua fama di combattente contro le ingiustizie dall’alto ma anche in basso non gli ha fatto guadagnare in popolarità e di questo Kucinich era ben consapevole. Prima di andare a Washington, aveva perso contro il suo avversario repubblicano, George Voinovich, futuro senatore.

Carica che a lui è sempre sfuggita, così come quella di governatore, ma anche quella di presidente. E ogni volta l’analisi della sconfitta dava un medesimo risultato: troppo di sinistra, troppo rabbioso e populista.

Un perdente amato

Ma forse Kucinich, al quale non mancava una certa sensibilità religiosa, tanto da firmare la prefazione a un volume sulle chiese soppresse di Cleveland per abbandono dei fedeli, sapeva di essere un esemplare di specie particolare: un “beloved loser”, un perdente molto amato dai propri sostenitori.

E adesso, dopo aver lottato contro le guerre di Bush in medio oriente, essere diventato vegano e aver positivamente valutato la presidenza di Trump come «non interventista» vuole tornare da dove aveva cominciato, in quella Cleveland dove lui aveva combattuto contro una cartello di banche e una società elettrica privata, la Cleveland Electric Illuminating Company (Cei), aveva tentato di costringere a vendere la società pubblica chiamata Cleveland Public Power. 

E dire che le società elettriche private sin dal Secondo dopoguerra diventarono un bastione del libero mercato e delle idee conservatrici, promuovendo il welfare aziendale in contrapposizione a quello pubblico e delegittimando l’istituzione di un sistema sanitario universalistico, basato su quello varato dai laburisti britannici nel 1947, così come proposto dal presidente Harry Truman nel 1949.

La General Electric, colosso nazionale produttore di energia e di elettrodomestici, ingaggiò un attore hollywoodiano proveniente dalle fila della sinistra liberal come portavoce per difendere le proprie ragioni nei confronti di un welfare state che anche sotto la presidenza del repubblicano Dwight Eisenhower sembrava voler restringere le sue prerogative.

Questo attore, a fine anni Cinquanta in seria difficoltà artistica, si chiamava Ronald Reagan. E proprio in California una multiutility propriamente detta, la Pacific Gas & Electric (Pg&E), divenne un attore politico a partire dagli anni Trenta per difendere le proprie prerogative di azienda, ingaggiando una società di consulenza politica, la Whitaker & Baxter, che utilizzò tecniche avveniristiche di comunicazione come il suggestivo abbinamento tra “coercizione pubblica” e schiavitù, mutuato di peso dalle pagine di un bestseller come La via verso la schiavitù, pamphlet ultraliberista scritto dal pensatore di origine austriaca Friedrich Von Hayek.

Ma la Pg&E, oggi, è sotto accusa come la Cei dei tempi di Kucinich. Accusata di essere inefficiente, di non garantire luce e gas nella California centro-settentrionale che va da Bakersfield, nell’agricola Central Valley, fino alla città marittima settentrionale di Eureka.

Di aver provocato con i suoi cortocircuiti elettrici numerosi incendi nel 2017 e nel 2018 tanto da far loro richiedere il famigerato Chapter 11, ovverosia l’avvio della procedura di bancarotta, dalla quale sono miracolosamente scampati nel 2020, dopo aver versato cospicui risarcimenti agli utenti danneggiati dai blackout avvenuti nella rovente estate californiana.

Il gelo del Texas

Se la California è stata investita da una vampata di calore, in Texas ha colpito il freddo. La tempesta polare che nello scorso febbraio si è abbattuta sullo stato della stella solitaria non ha impedito che le società elettriche riconosciute dal regolatore statale Ercot mandassero bollette da 9mila dollari a settimana (su una media di 200) per i clienti che non avevano usufruito del servizio e che per sopravvivere si è dovuta rivolgere alle chiese oppure andare in uno dei “punti di riscaldamento” costituito in fretta e furia dalla protezione civile americana, la Fema.

La ragione dei conti salati era semplicissima, e razionale, dal punto di vista di un mercato che si autoregola: in un periodo in cui fornire energia alle case è difficile, i kilowatt costano. Ma di questo una delle società elettriche coinvolte, Griddy, dovrà pagare un miliardo di dollari in risarcimento agli utenti. Ironia della sorte, Griddy ha sede nell’odiata California.

Se la richiesta di regolamentare un mercato elettrico fuori controllo aumenta, difficile è riuscire a capire come fare senza che le compagnie scarichino i costi sugli utenti. Non sappiamo se Kucinich, qualora riuscisse a tornare quale sindaco di Cleveland all’età di 75 anni, avrà una risposta. Di sicuro, il suo libro ci dice che la difesa di un giusto principio può anche passare per un default cittadino. Ma forse questo, ancora una volta, potrebbe non essere un buon viatico per farsi eleggere.

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