Alla fine anche la Grecia ha un governo di destra con la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. In Europa, oltre alla Grecia, hanno governi di destra l’Italia, la Gran Bretagna, la Finlandia, l’Ungheria, la Polonia, i Paesi Bassi, la Croazia, la Lituania e la Slovacchia. Ma il vento della destra non soffia solo in questi paesi.

La Francia ha un governo che non è certo di sinistra e ha una Marine Le Pen sempre più forte, in Spagna le recenti elezioni regionali che hanno visto un’affermazione della destra hanno costretto il premier a sciogliere le camere, la Gran Bretagna è uscita dalla Ue a causa di un movimento di estrema destra come l’Ukip di Farage, in Svezia il governo si regge sul sostegno di un partito nazionalista xenofobo, la Germania, pur governata da una coalizione social-democratica, ha un forte partito di estrema destra “sospettato di estremismo politico”, l’Afd.

Alcune considerazioni economiche

Per capire un fenomeno così complesso bisogna ripercorrere la storia dell’Europa dal 1945 in poi. Limitiamo però questa breve analisi ai paesi dell’Europa occidentale in quanto quelli dell’Europa orientale è quasi naturale che abbiano governi conservatori avendo sperimentato il socialismo reale del blocco sovietico. Partiamo da alcune considerazioni di natura economica.

Quasi tutti i paesi europei erano usciti distrutti dalla seconda guerra mondiale. Bisognava ricostruire strade, ponti, reti ferroviarie, industrie, abitazioni. In Germania e Italia bisognava anche ricostituire l’amministrazione dello stato.

In Germania fu rinnovata con una consistente epurazione. In Italia no, tanto che ancora oggi abbiamo un governo pieno di nostalgici col busto di Mussolini in casa. Subito dopo la fine della guerra mancava il cibo che si otteneva con le tessere annonarie, ma mancavano anche altri generi di prima necessità. Nel 1950 tre quarti della popolazione mondiale viveva in stato di povertà. In Italia, la Commissione d’inchiesta sulla miseria (1951-1953) stabilì che 1.357.000 famiglie (11,8 per cento) erano in condizioni misere e altre 1.345.000 famiglie (11,6 per cento) in condizioni disagiate, con una situazione assai peggiore al sud rispetto al nord Italia.

Bisognava allora cominciare a pensare a una politica di welfare, sulla base dei progetti contrapposti di Keynes e Beveridge, che assicurasse l’assistenza sanitaria e l’istruzione per tutti, un sistema giudiziario indipendente e un sistema pensionistico.

Si è passati così attraverso quel periodo, che in Italia è stato chiamato “miracolo economico”, ma che ha interessato i principali paesi dell’Europa occidentale e che ha avviato una solida produzione industriale, incrementato i consumi, sviluppato le tecnologie, superando le turbolenze sociali degli anni settanta. Si è prodotta ricchezza per la creazione del welfare in tutta l’Europa occidentale.

Questo periodo di grande sviluppo fu guidato da partiti e governi progressisti, di sinistra o di centro, attenti ai bisogni della maggioranza della popolazione che viveva ancora in condizioni difficili, partiti che furono quindi votati per molti anni.

Questo piano di ricostruzione ha permesso di godere dei vantaggi creati anche dalla rivoluzione tecnologica: elettrodomestici, automobili, viaggi, vacanze, abbigliamento di moda, fino alla costruzioone di un’abitazione e alla creazione di un fondo di risparmio, arrivando così a godere di un elevato benessere.

La situazione odierna

Oggi la situazione è molto diversa. Nel 2021 in Italia sono in stato di povertà il 7,5 per cento del totale delle famiglie. Una situazione che è diversa anche per il voto. Dalle prime elezioni libere del 1948, in Italia, come in altri paesi europei, il voto era obbligatorio e l’astensione veniva registrata nella fedina penale. Col tempo tale obbligo non è più in vigore (vige ancora solo in Belgio, Lussemburgo e Grecia) e il suffragio universale è diventato un suffragio parziale perché nei paesi dell’UE l’affluenza media alle urne non arriva al 60 per cento.

Nelle elezioni del parlamento europeo del 2019 l’affluenza è stata del 50,6 per cento. Le ragioni di questo disinteresse a partecipare all’elezione del parlamento del proprio paese o di quello europeo sono diverse. Per quanto riguarda l’Italia una ricerca di Demopolis del gennaio 2018 riporta che il 66 per cento dei non votanti non si reca alle urne per sfiducia e delusione verso i partiti, il 53 per cento perché la politica non incide più sulla vita delle famiglie, il 35 per cento perché il voto è ritenuto inutile.

È particolarmente grave rilevare che non vota il 48 per cento degli under 25. Una situazione molto simile a quella di molti paesi dell’Europa occidentale, secondo i dati del Parlamento Europeo. Il Centro Italiano Studi Elettorali (CISE) ha esaminato il voto delle ultime elezioni politiche italiane ed è risultato che per i tre partiti ora al governo hanno votato gli elettori meno istruiti (elementari e medie) appartenenti alle classi sociali media e alta. L’elettorato dei 5 Stelle è equamente distribuito tra i tre livelli di istruzione e delle classi di sociali. Per il Pd hanno votato elettori di alta cultura appartenenti alle classi sociali media e alta.

Le conseguenze sociali

Da questi dati possiamo dedurre che i partiti di sinistra hanno perso il contatto con le classi sociali più deboli e meno istruite e con i giovani. Entrambi non si sentono rappresentati da una classe politica di sinistra solo di nome, che ha spostato le sue attenzioni alle classi medie e alte, quindi il loro voto è passato alla destra nella pia illusione che si facesse carico dei loro problemi.

Si può altresì ipotizzare che il benessere di cui godono le classi sociali medie e alte, ma di modesta istruzione e cultura, li spinga a votare i partiti conservatori che proteggono le loro ricchezze da imposte sulle grandi fortune, tassano in misura minore le rendite finanziarie e immobiliari, chiudono un occhio sull’evasione o elusione fiscale.

Inoltre, le proteggono dai problemi come il salario minimo, l’immigrazione e le odiate normative europee come quelle sulla concorrenza o sull’agricoltura. Il sovranismo si appoggia su queste politiche che fanno facile presa su una classe di cittadini che hanno la sola visione miope di proteggere i loro interessi nel breve periodo, senza guardare al futuro dell’intero paese o dell’intera Europa. In conclusione si può forse azzardare l’ipotesi che il benessere generale ha fortemente inciso sullo spostamento a destra di quasi tutta l’Europa. 

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