Questa mattina l’ex premier giapponese Abe Shinzo è stato raggiunto da un proiettile sparato dalla folla, mentre teneva un comizio per le elezioni parlamentari in programma domenica.

La televisione pubblica Nhk è stata la prima ad annunciare il suo decesso. Si tratta del primo caso noto di violenza politica degli ultimi anni, un fenomeno che in Giappone era largamente relegato al passato della Guerra fredda.

Abe si trovava nella prefettura di Nara per tenere un comizio. Le campagne elettorali in Giappone dipendono molto dalla presenza sul territorio dei candidati e gli esponenti politici maggiormente di spicco a livello nazionale sono spesso per strada a cercare di convincere gli elettori di persona.

Radio, tv e social media hanno una rilevanza tutto sommato secondaria. Le interazioni tra politici ed elettori durante le campagne elettorali si fanno quindi molto strette e raramente i comizi vengono allestiti in modo tale da garantire la sicurezza dell’oratore. La priorità ovviamente è favorire la comunicazione tra candidati ed elettori.

Proprio per questo Yamagami Tetsuya è riuscito ad avvicinarsi tanto all’ex primo ministro. Con quella che sembra essere una pistola fatta in casa, l’attentatore ha sparato due colpi, dopo i quali l’ex premier si è accasciato a terra.

Sulle prime sono circolate voci sul fatto che l’omicidio avesse motivazioni politiche, anche se poi sono state ridimensionate.

«Non si tratta di risentimento contro le opinioni politiche dell’ex premier Abe», ha detto alla stampa la polizia locale di Nara.

Nel frattempo però il partito Ldp ha sospeso in via precauzionale tutte le attività di campagna elettorale. Yamagami, secondo quanto riportato dai media, avrebbe servito nella marina giapponese per alcuni anni.

Dal punto di vista della diffusione delle armi, il Giappone è un paese estremamente sicuro. Come riportato dal Council on Foreign Relations, la percentuale di possessori di armi da fuoco sul totale della popolazione è solo lo 0,3 per cento.

Inoltre, i dati del 2019 rivelano che il tasso di omicidi da violenza armata in Giappone è tra i più bassi al mondo: appena 0,02 vittime ogni 100.000 abitanti. Per fare un confronto: in Canada il tasso è dello 0,5 mentre negli Stati Uniti è del 4,12.

Per risalire a un omicidio politico di tale importanza bisogna  andare al 12 ottobre del 1960, quando Asanuma Inejiro, l’allora capo del principale partito di opposizione, venne assassinato da un giovane non ancora maggiorenne appartenente agli ambienti dell’estrema destra giapponese.

Quello però era un contesto politico già molto violento e sicuramente più polarizzato di quello attuale. La violenza a sfondo politico è stata un elemento caratteristico del Giappone di quegli anni, ma a partire dagli anni Settanta il livello del conflitto si andato lentamente a scemare.

Proprio questo è ciò che colpisce dell’attentato ad Abe, il fatto che si collochi in un contesto politico particolarmente pacificato.

L’ex premier era uno dei politici più in vista del paese, con un largo seguito sia nel parlamento che tra gli elettori. La sua figura però era estremamente divisiva e per alcuni l’ex premier (la cui storia famigliare è strettamente intrecciata con le vicende della Seconda guerra mondiale) incarnava il rischio di un ritorno del militarismo Showa.

Abe è stato uno dei principali fautori della riforma della costituzione pacifista, nonché un sostenitore dell’aumento delle spese militari.

Il suo omicidio è un momento epocale nella storia del Giappone contemporaneo. Sebbene non sia facile prevedere quale possa esserne l’impatto, la violenza è rientrata a far parte del vocabolario politico ordinario di molti paesi. Gli Stati Uniti in primis.

Fino ad oggi sembrava impensabile che la stessa cosa potesse accadere anche nel meno polarizzato Giappone, ma la storia è piena di eventi che arrivano inaspettati a sconvolgere le carte in tavola. Per capire se l’assassinio di Abe è uno di questi servirà del tempo.

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